Corriere del Mezzogiorno (Campania)
MA QUANTO DURERÀ ’A NUTTATA
Ci salverà la prossemica? Altro che amore che resiste ai tempi del colera come nel bel romanzo di Garcia Marquez. In tempi di coronavirus la scienza sovrasta i sentimenti. E quando non bastano biologia e virologia, entrano in gioco altre discipline. La prossemica, appunto, ch’è quella branca della semiotica che si occupa delle distanze fisiche che si frappongono tra le persone nei modi in cui esse si relazionano. Non state vicini, ammoniscono i medici: dovunque siete, casa, ufficio, mezzi di trasporto, tenetevi ad almeno un metro di distanza dagli altri. È lo spazio minimo in cui le goccioline emanate dal respiro altrui non possono impadronirsi del vostro e, se inquinate, trasmettervi il virus. Ammonimento scientificamente corretto. Non ne vedo facile l’applicazione, almeno a scala locale. La prossemica insegna che il modo di approcciarsi gli uni agli altri è mutevole a seconda dei luoghi e delle culture. Forme di comunicazione non verbale che distinguono le popolazioni. Incidono nelle configurazioni edilizie che rendono tipici paesi, quartieri, città; in forma minimale caratterizzano la maggiore o minore espansività che regolano i contatti tra componenti d’una comunità. Prendiamo Napoli. Ci si saluta con l’abbraccio; si dialoga ravvicinati, in una gestualità che non esclude vicendevoli toccamenti. E non parliamo dell’intimità familiare, amorosa.
Insomma, la prossemica alla napoletana è fatalmente altra cosa di quella, che so, tedesca. È, comunque, altrettanto fatalmente imposta da circostanze oggettive: elevate densità di popolamento nei vecchi quartieri come pure in nuovi rioni periferici. Soprattutto nei mezzi di trasporto, pochi e affollati. Situazioni non evitabili, a differenza di cinema, teatri ed altri spazi dalla cui frequentazione è facoltà astenersi.
In Napoli sono stati, come si dice, «sanificati» luoghi pubblici, in primis scuole, università, autobus, treni. Si spera in modo efficace. Pulizia che si auspicava da sempre; duole l’imponga la paura e non buona pratica ordinaria. Nella nuova geografia d’Italia disegnata da presenze virali, Napoli e regioni meridionali hanno almeno la fortuna di ritrovarsi dipinte d’azzurro, a differenza del rosso che condanna Lombardia, Veneto e dintorni. Possono qui riprendere le lezioni. La paralisi dell’istruzione sarebbe tra i mali peggiori dell’emergenza virale. Ma a queste primigenie esigenze della vita comunitaria, che pretende funzionanti uffici, trasporti, luoghi d’istruzione, non sembrano purtroppo accompagnarsi da noi garanzie di pari funzionamento di attività economiche.
I bollettini dei movimenti turistici sono allarmanti. Imprenditori e addetti al settore nel capoluogo e nelle località di tradizionale richiamo, paventano cali devastanti degli introiti e crolli dell’occupazione. Il presidente Trump sconsiglia gli americani a venire da noi e diffida dell’arrivo di italiani. Ancor più preoccupante di quanto non l’abbiano reso le crisi recenti di talune nostre aziende, è l’andamento di attività manifatturiere. Sono negative le previsioni sull’esportazione di produzioni locali. Le più difficili importazioni di prodotti esteri, specie cinesi, privano aziende nostrane di componenti indispensabili. Da settimane appare deserta la «cittadella» napoletana che concentra i mercati cinesi. Fonte di lucro per imprenditori orientali, ma anche rete che alimenta commercianti, artigiani, tecnici napoletani. Da Napoli, al vasto mondo. Dove, pur se non lo si vuole, il Covid 19 impone aumento delle distanze. Tra popoli e persone agiscono prossemiche di segno opposto. La politologa Marta Dassù ha scritto su La Stampa (29 febbraio) che «il Covid 19 incrocia con la fine della vecchia globalizzazione»; e che nell’Europa post Brexit «il virus divide invece di unire». Insomma questa prossemica internazionale, causa coronavirus, sta modificando la geopolitica. Sostanzialmente d’accordo pare l’ex ministro Tremonti, da anni dubbioso circa la mondializzazione dell’economia. Nella crisi generata dall’epidemia nell’economia mondiale vede conferma (Il Corriere della Sera, 2 marzo) della sua tesi che l’impetuoso sviluppo cinese abbia costituito una forzatura squilibrante.
E per noi, privilegiati ( si fa per dire!) abitatori della zona azzurra, quale futuro? Facciamo pur nostra l’attesa del grande Eduardo che, almeno riguardo all’infezione virale, «adda passà ’a nuttata»; ma ci resta difficile, riguardo ai tempi della ripresa economica, preconizzare quanto potrà prolungarsi la nuttata.