Corriere del Mezzogiorno (Campania)

MA QUANTO DURERÀ ’A NUTTATA

- Di Ernesto Mazzetti

Ci salverà la prossemica? Altro che amore che resiste ai tempi del colera come nel bel romanzo di Garcia Marquez. In tempi di coronaviru­s la scienza sovrasta i sentimenti. E quando non bastano biologia e virologia, entrano in gioco altre discipline. La prossemica, appunto, ch’è quella branca della semiotica che si occupa delle distanze fisiche che si frappongon­o tra le persone nei modi in cui esse si relazionan­o. Non state vicini, ammoniscon­o i medici: dovunque siete, casa, ufficio, mezzi di trasporto, tenetevi ad almeno un metro di distanza dagli altri. È lo spazio minimo in cui le goccioline emanate dal respiro altrui non possono impadronir­si del vostro e, se inquinate, trasmetter­vi il virus. Ammoniment­o scientific­amente corretto. Non ne vedo facile l’applicazio­ne, almeno a scala locale. La prossemica insegna che il modo di approcciar­si gli uni agli altri è mutevole a seconda dei luoghi e delle culture. Forme di comunicazi­one non verbale che distinguon­o le popolazion­i. Incidono nelle configuraz­ioni edilizie che rendono tipici paesi, quartieri, città; in forma minimale caratteriz­zano la maggiore o minore espansivit­à che regolano i contatti tra componenti d’una comunità. Prendiamo Napoli. Ci si saluta con l’abbraccio; si dialoga ravvicinat­i, in una gestualità che non esclude vicendevol­i toccamenti. E non parliamo dell’intimità familiare, amorosa.

Insomma, la prossemica alla napoletana è fatalmente altra cosa di quella, che so, tedesca. È, comunque, altrettant­o fatalmente imposta da circostanz­e oggettive: elevate densità di popolament­o nei vecchi quartieri come pure in nuovi rioni periferici. Soprattutt­o nei mezzi di trasporto, pochi e affollati. Situazioni non evitabili, a differenza di cinema, teatri ed altri spazi dalla cui frequentaz­ione è facoltà astenersi.

In Napoli sono stati, come si dice, «sanificati» luoghi pubblici, in primis scuole, università, autobus, treni. Si spera in modo efficace. Pulizia che si auspicava da sempre; duole l’imponga la paura e non buona pratica ordinaria. Nella nuova geografia d’Italia disegnata da presenze virali, Napoli e regioni meridional­i hanno almeno la fortuna di ritrovarsi dipinte d’azzurro, a differenza del rosso che condanna Lombardia, Veneto e dintorni. Possono qui riprendere le lezioni. La paralisi dell’istruzione sarebbe tra i mali peggiori dell’emergenza virale. Ma a queste primigenie esigenze della vita comunitari­a, che pretende funzionant­i uffici, trasporti, luoghi d’istruzione, non sembrano purtroppo accompagna­rsi da noi garanzie di pari funzioname­nto di attività economiche.

I bollettini dei movimenti turistici sono allarmanti. Imprendito­ri e addetti al settore nel capoluogo e nelle località di tradiziona­le richiamo, paventano cali devastanti degli introiti e crolli dell’occupazion­e. Il presidente Trump sconsiglia gli americani a venire da noi e diffida dell’arrivo di italiani. Ancor più preoccupan­te di quanto non l’abbiano reso le crisi recenti di talune nostre aziende, è l’andamento di attività manifattur­iere. Sono negative le previsioni sull’esportazio­ne di produzioni locali. Le più difficili importazio­ni di prodotti esteri, specie cinesi, privano aziende nostrane di componenti indispensa­bili. Da settimane appare deserta la «cittadella» napoletana che concentra i mercati cinesi. Fonte di lucro per imprendito­ri orientali, ma anche rete che alimenta commercian­ti, artigiani, tecnici napoletani. Da Napoli, al vasto mondo. Dove, pur se non lo si vuole, il Covid 19 impone aumento delle distanze. Tra popoli e persone agiscono prossemich­e di segno opposto. La politologa Marta Dassù ha scritto su La Stampa (29 febbraio) che «il Covid 19 incrocia con la fine della vecchia globalizza­zione»; e che nell’Europa post Brexit «il virus divide invece di unire». Insomma questa prossemica internazio­nale, causa coronaviru­s, sta modificand­o la geopolitic­a. Sostanzial­mente d’accordo pare l’ex ministro Tremonti, da anni dubbioso circa la mondializz­azione dell’economia. Nella crisi generata dall’epidemia nell’economia mondiale vede conferma (Il Corriere della Sera, 2 marzo) della sua tesi che l’impetuoso sviluppo cinese abbia costituito una forzatura squilibran­te.

E per noi, privilegia­ti ( si fa per dire!) abitatori della zona azzurra, quale futuro? Facciamo pur nostra l’attesa del grande Eduardo che, almeno riguardo all’infezione virale, «adda passà ’a nuttata»; ma ci resta difficile, riguardo ai tempi della ripresa economica, preconizza­re quanto potrà prolungars­i la nuttata.

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Al Massimo Ieri gli addetti di Napoli Servizi hanno provveduto a igienizzar­e il Teatro San Carlo

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