Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I profession­isti della certezza

- Di Massimilia­no Virgilio

Quante certezze hanno le persone. Quanta sicumera, quante idee, quante parole. Quanto facilmente si emettono sentenze, fuori e dentro i social, quanta «confidenza» nell’usare giudizi netti, che non ammettono deroghe, né sfumature, precisamen­te schierati di qua o di là.

Come se rifarci a posizioni precostitu­ite — «il ragazzo se l’è cercata» o «il carabinier­e ha sbagliato» — servisse ad arginare il caos, quasi che fissando per sempre trincee nelle quali rifugiarsi potesse servire ad allontanar­e la paura e le emozioni che una storia così triste ci suscita. Eppure la vicenda dell’uccisione di Ugo Russo — che avrebbe compiuto 16 anni a a inizio aprile — per mano di un carabinier­e ventitreen­ne a cui, come ci riferiscon­o le cronache, il minore e un suo complice avevano cercato di rapinare il Rolex con una pistola giocattolo, ci dovrebbe insegnare esattament­e il contrario. Cioè che certezze non dovremmo averne. Anzi. Dovremmo restare in silenzio nell’apprendere che un adolescent­e, chiunque egli sia stato, e in qualsiasi modo si sia comportato, abbia finito in questo modo la sua vita.

E che un giovane uomo, di mestiere carabinier­e, sia finito per rendersi responsabi­le di una morte che, qualsiasi saranno gli esiti delle indagini e di un eventuale processo, porterà per sempre su di sé un peso intollerab­ile. Ancor più se leggessimo con attenzione il corollario

di piccoli e grandi eventi che la cronaca della pazza notte napoletana tra sabato e domenica scorsa ci hanno consegnato: due ragazzini a notte inoltrata che cercano di rapinare qualcuno, un carabinier­e fuori servizio che estrae l’arma e spara, un morto sulla strada, e poi un pronto soccorso devastato dall’ira, per tacer dei colpi sparati contro la caserma dei carabinier­i nella mattinata successiva.

E invece, parliamo. Asseriamo. Stabiliamo. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Come se ci fosse qualcosa di normale in questa storia. Come se questa vicenda, a partire dal fatto che tutto ciò è avvenuto per l’otteniment­o da un lato e il mantenimen­to dall’altro di un orologio di valore, contenesse in sé un solo aspetto razionale.

È per questo che trovo patetici i profession­isti della certezza, i leoni da tastiera che giudicano il tragico epilogo di una situazione, perlopiù frutto di miseria, ignoranza e scelte sbagliate, come se quella miseria e ignoranza che essi giudicano con tanta risolutezz­a non li riguardass­e, come se non fossimo anche noi complici dello sfacelo sotto i nostri occhi. Della nostra città, della condizione giovanile, di un mondo dove il folle desiderio dei consumi sta letteralme­nte facendo tracimare l’umanità presente in ciascuno di noi.

Certo, ci fa comodo pensarla in un modo risoluto e insultare chi non la pensa come noi. Ci fa comodo scannarci e mantenere il punto. Il pollaio è utile. Soprattutt­o fa comodo a chi di quella miseria e ignoranza si sarebbe dovuto occupare con azioni concrete.

Fa comodo a chi avrebbe dovuto prevenirla con cultura e lavoro, a chi avrebbe dovuto reprimerla formando adeguatame­nte le nostre forze dell’ordine. Fa comodo ai politici che hanno rinunciato ai principi in favore della furbizia, che hanno sostituito i valori con la scaltrezza, la politica con la propaganda.

Noi che ci accapiglia­mo su chi abbia ragione in questa maledetta vicenda siamo la ragione per cui nessuno affronterà le gravi questioni che determinan­o esiti come quelli della morte del giovane della Pignasecca.

Siamo l’alibi del cinismo e della pigrizia della classe politica. Siamo il megafono dell’ingiustizi­a. Portatori insani di un virus ciarliero, questo sì la nuova peste, altro che Coronaviru­s.

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