Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I professionisti della certezza
Quante certezze hanno le persone. Quanta sicumera, quante idee, quante parole. Quanto facilmente si emettono sentenze, fuori e dentro i social, quanta «confidenza» nell’usare giudizi netti, che non ammettono deroghe, né sfumature, precisamente schierati di qua o di là.
Come se rifarci a posizioni precostituite — «il ragazzo se l’è cercata» o «il carabiniere ha sbagliato» — servisse ad arginare il caos, quasi che fissando per sempre trincee nelle quali rifugiarsi potesse servire ad allontanare la paura e le emozioni che una storia così triste ci suscita. Eppure la vicenda dell’uccisione di Ugo Russo — che avrebbe compiuto 16 anni a a inizio aprile — per mano di un carabiniere ventitreenne a cui, come ci riferiscono le cronache, il minore e un suo complice avevano cercato di rapinare il Rolex con una pistola giocattolo, ci dovrebbe insegnare esattamente il contrario. Cioè che certezze non dovremmo averne. Anzi. Dovremmo restare in silenzio nell’apprendere che un adolescente, chiunque egli sia stato, e in qualsiasi modo si sia comportato, abbia finito in questo modo la sua vita.
E che un giovane uomo, di mestiere carabiniere, sia finito per rendersi responsabile di una morte che, qualsiasi saranno gli esiti delle indagini e di un eventuale processo, porterà per sempre su di sé un peso intollerabile. Ancor più se leggessimo con attenzione il corollario
di piccoli e grandi eventi che la cronaca della pazza notte napoletana tra sabato e domenica scorsa ci hanno consegnato: due ragazzini a notte inoltrata che cercano di rapinare qualcuno, un carabiniere fuori servizio che estrae l’arma e spara, un morto sulla strada, e poi un pronto soccorso devastato dall’ira, per tacer dei colpi sparati contro la caserma dei carabinieri nella mattinata successiva.
E invece, parliamo. Asseriamo. Stabiliamo. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Come se ci fosse qualcosa di normale in questa storia. Come se questa vicenda, a partire dal fatto che tutto ciò è avvenuto per l’ottenimento da un lato e il mantenimento dall’altro di un orologio di valore, contenesse in sé un solo aspetto razionale.
È per questo che trovo patetici i professionisti della certezza, i leoni da tastiera che giudicano il tragico epilogo di una situazione, perlopiù frutto di miseria, ignoranza e scelte sbagliate, come se quella miseria e ignoranza che essi giudicano con tanta risolutezza non li riguardasse, come se non fossimo anche noi complici dello sfacelo sotto i nostri occhi. Della nostra città, della condizione giovanile, di un mondo dove il folle desiderio dei consumi sta letteralmente facendo tracimare l’umanità presente in ciascuno di noi.
Certo, ci fa comodo pensarla in un modo risoluto e insultare chi non la pensa come noi. Ci fa comodo scannarci e mantenere il punto. Il pollaio è utile. Soprattutto fa comodo a chi di quella miseria e ignoranza si sarebbe dovuto occupare con azioni concrete.
Fa comodo a chi avrebbe dovuto prevenirla con cultura e lavoro, a chi avrebbe dovuto reprimerla formando adeguatamente le nostre forze dell’ordine. Fa comodo ai politici che hanno rinunciato ai principi in favore della furbizia, che hanno sostituito i valori con la scaltrezza, la politica con la propaganda.
Noi che ci accapigliamo su chi abbia ragione in questa maledetta vicenda siamo la ragione per cui nessuno affronterà le gravi questioni che determinano esiti come quelli della morte del giovane della Pignasecca.
Siamo l’alibi del cinismo e della pigrizia della classe politica. Siamo il megafono dell’ingiustizia. Portatori insani di un virus ciarliero, questo sì la nuova peste, altro che Coronavirus.