Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SENZA SCUOLA IL MONDO FA PAURA
La paura ha tante facce: alcune le vedi subito, altre no. Evitare luoghi affollati, cambiare il modo di salutarsi, di manifestare affetto e tenerezza, di relazionarsi con le persone care e con gli estranei, osservare scrupolosamente norme di igiene basilari ma talvolta trascurate: sono comportamenti che ci mettono a contatto con la nostra paura ma che contemporaneamente la esorcizzano, rassicurandoci. Fin qui, insomma, lavora la ragione. Ma, appena più in là, c’è il territorio dell’amigdala: quella ghiandola dal nome e dalla forma di mandorla, incastonata al centro del cervello che dà la scossa alle emozioni. Quando tre giorni fa è stata diramata la notizia della chiusura delle scuole, non ho sentito la voce della ragione ma quella dell’amigdala, del cosiddetto «cervello rettiliano» che incarna le istanze più istintuali dell’uomo. E ho sentito la paura: una paura irrazionale e misteriosa alla quale inizialmente non ho saputo dare un nome. Forse perché la classe è il luogo in cui più spesso, sia da studentessa che da insegnante, mi sono sentita contenta di me. L’impegno quotidiano e la quotidiana condivisione, la preghiera laica della conoscenza e della riflessione. Ma questa è ancora la risposta della ragione. La notizia della chiusura delle scuole, invece, mi ha fatto vacillare, letteralmente. La logica mi assicurava che la misura era necessaria e improcrastinabile, che una situazione di emergenza va gestita con provvedimenti di emergenza. L’amigdala però insisteva: scuole chiuse significa gravità assoluta, perdita dei consueti parametri di riferimento. In estrema sintesi: pericolo! Forse perché sono una bambina degli anni Settanta e la sospensione imprevista delle attività didattiche mi riporta immediatamente a un unico lugubre precedente: il terremoto del 23 novembre 1980. Le persone in strada, le case pericolanti abbandonate, le facce tese dei miei genitori e le scuole chiuse.