Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Il cattolico rispetti le leggi ma non tralasci di curare i malati»

Antonino Raspanti, vicepresid­ente della Cei per il Sud: «La Chiesa si è sottomessa alle decisioni del governo, avremmo gradito ci avesse prima ascoltato»

- Di Emanuele Imperiali

«Le urla che abbiamo sentito nelle ultime ore di tanti, soprattutt­o in Puglia, Calabria e Sicilia, contro quanti tornavano precipitos­amente dal Nord ricordano il manzoniano “dagli all’untore”. Certo non sono cristiane, né belle, né tantomeno giuste sotto il profilo dell’aggressivi­tà umana. Ma non è neppure da approvare questa fuga quasi clandestin­a, che obbedisce soprattutt­o al proprio istinto egoistico». A dirlo è un prelato di altissimo livello, l’arcivescov­o di Acireale Antonino Raspanti, vicepresid­ente della Conferenza Episcopale Italiana per il Sud.

C’è stata una fuga precipitos­a di tanti meridional­i che vivono e lavorano al Nord e, temendo l’ulteriore diffusione del contagio, nella notte tra sabato e domenica, hanno preso d’assalto treni, autobus e auto per tornare a casa, spesso nelle proprie famiglie. I tanti che sono emigrati in Lombardia per lavoro...

«E’ vero, in gran parte sono i nostri figli e nipoti e quando partirono, quanti di noi si sono lamentati e hanno pianto. Ma oggi, di fronte a quest’emergenza, genitori e figli dovrebbero mostrare un pizzico di ragionevol­ezza in più. Questa fuga in massa, quasi clandestin­a, prima che il decreto entrasse in funzione, dimostra che non sappiamo reggere l’urto del dolore nella distanza. Ma mi chiedo: come fecero coloro che andarono in guerra e quelli che per mesi, se non per anni, sono stati imbarcati sulle navi e non hanno visto le proprie famiglie, i propri affetti?».

Come deve comportars­i un cattolico di fronte a una situazione come quella attuale in cui valori quali l’accoglienz­a, la solidariet­à, la misericord­ia sono messi in secondo piano?

«Il cattolico è un cittadino e come tale deve obbedire alle leggi. Poi deve svolgere fino in fondo il proprio dovere, sui luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle profession­i, nell’assistenza e cura dei malati e degli anziani, anche se questo può comportare rischi maggiori. Ma non evocherei in questa fase valori quali accoglienz­a e solidariet­à che rischiano di apparire troppo generici e fuori contesto rispetto all’attuale emergenza».

Forse è la dimostrazi­one concreta che la nostra cultura resta troppo fragile e di fronte a fenomeni come il Coronaviru­s non regge l’impatto con una dura realtà?

«Vicende come questa hanno in sé anche germi positivi, consentono di riscoprire valori negletti, come il dialogo all’interno delle famiglie, l’umiltà, cosa voglia dire darsi vicendevol­mente forza».

Non pensa che alcuni di questi comportame­nti siano anche frutto degli egoismi di tanti ieri al Nord verso i terriprio tori meridional­i?

«Certo. Senza dimenticar­e che quei comportame­nti li abbiamo consentiti tutti, non solo le classi politiche e dirigenti del Nord. L’acuirsi del divario, documentat­o con cifre e dati, ha fomentato queste forme di egoismo e rischia di mandare a gambe all’aria la coesione e la solidariet­à nazionale».

Come vive il mondo cristiano questa scelta del tutto nuovo e molto avvertita nel popolo di Dio, di sospendere la celebrazio­ne delle messe in tutt’Italia, di non fare né matrimoni né funerali, in buona sostanza di soprassede­re a tutti i riti religiosi produrante la Quaresima, con la Pasqua in arrivo?

«Noi vescovi ci siamo sottomessi a questa decisione, in sé discutibil­e, del governo, in quanto i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dal Concordato, ma l’abbiamo accolta per il bene pubblico. Con altrettant­a franchezza debbo dirle che in passato ci saremmo aspettati che la classe dirigente avesse ascoltato le nostre proposte».

La Cei, in sostanza, rivendica una sorta di pari dignità con gli altri soggetti in campo?

«Presto sarà il momento di avviare la ricostruzi­one del Paese, perché non illudiamoc­i, la crisi economica e sociale che ci lascerà in eredità il Coronaviru­s sarà enorme, probabilme­nte la più grossa dal Dopoguerra. Ci auguriamo che in quel momento la classe dirigente italiana non si dimentichi di noi, come nel corso degli ultimi anni. Pensando anche alle tante forme di solidariet­à che, al Sud come al Nord, le nostre mense, le nostre parrocchie, le nostre associazio­ni hanno svolto in condizioni di supplenza del pubblico e continuano a fare verso poveri, anziani, deboli, bisognosi».

È presto per pensare a cosa fare una volta finita l’emergenza, ma è doveroso per guardare avanti con fiducia.

«Nel Dopoguerra si puntò su un grande Piano Marshall. Io direi, viste le dimensioni del contagio, un Piano di valenza nazionale e internazio­nale, attorno al quale costruire un’autentica visione di prospettiv­a».

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 ??  ?? Prelato Antonino Raspanti, nato ad Alcamo, è eletto alla sede vescovile di Acireale il 26 luglio 2011; ordinato vescovo il primo ottobre 2011, il 24 maggio 2017 è nominato vicepresid­ente della Conferenza episcopale italiana
Prelato Antonino Raspanti, nato ad Alcamo, è eletto alla sede vescovile di Acireale il 26 luglio 2011; ordinato vescovo il primo ottobre 2011, il 24 maggio 2017 è nominato vicepresid­ente della Conferenza episcopale italiana

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