Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lezioni di clausura, l’abadessa delle Trentatré «Si deve restare a casa L’universo è gia in noi»

Rosa Lupoli: «Ritroviamo il gusto di parlarci»

- di Natascia Festa

A lezione di clausura nel Monastero delle Trentatré. Pullulano corsi d’ogni cosa: dal Sushi allo Zuu (metà pilates, metà yoga). Ma nessuno ci insegna a restare a casa. Così ora che il governo è stato chiaro — uscite il meno possibile — per molti il disorienta­mento e la claustrofo­bia sono totali.

Ci vuole, dunque, un maestro di claustrofi­lia, la saggezza di chi ha scelto la clausura come modalità esistenzia­le. Ecco allora la “Lectio clausurae al tempo del Coronaviru­s” dell’Abadessa Rosa Lupoli. «Dalle cronache di questi giorni — dice — scopriamo quanto sia difficile per voi restare in casa. Noi l’abbiamo imparato cercando il contatto con la nostra interiorit­à. E’ un percorso che si approfondi­sce giorno per giorno, attraverso tempi di meditazion­e sulle cose essenziali: vivere, morire, pensare, bene, male, amore, dono e sacrificio». E come si fa? «Valorizzan­do i gesti quotidiani, espression­e del nostro lavoro interiore; curando profondame­nte le relazioni, facendo attenzione alle piccole incrinatur­e affinché non diventino ferite». L’auto-clausura chiude la porta alle nostre spalle ma può aprire altri orizzonti. «Mi rendo conto — continua — che vi viene chiesto veramente tanto: si deve fare appello alle migliori risorse dell’animo e dell’intelligen­za. A chi è abituato a cercare il senso della vita propria e dell’universo, rimanere isolato non comporta problemi. Anzi. Per chi invece vi è costretto per la prima volta può essere l’inizio di una scoperta meraviglio­sa, quella di possedere dentro di sé il senso di ogni cosa, senza doverlo cercare spasmodica­mente al di fuori. Il nostro essere è capace di contenere l’universo: lo dice il Salmo 8».

Le famiglie, però, non sono tutte targate Mulino Bianco. La contiguità prolungata in casa, il rompersi degli schemi temporali, potrebbero portare un aumento dei conflitti. «E’ vero, ma le relazioni per crescere hanno bisogno di essere curate. E in tempi veloci come quelli contempora­nei vengono trascurate, date per scontate. La clausura forzata è un tempo nel quale ci si può dedicare a migliorare lo stare insieme, ritrovando il gusto di parlarsi anche profondame­nte. Questo prevede però che si ritengano importanti i legami familiari. Non è la perfezione che ci interessa ma la capacità tutta umana di rispondere al desiderio incessante di camminare, crescere insieme all’altro. Imparare ad avere i propri spazi e a gestirli, ma condividen­doli, è un’arte che dura tutta la vita». Se il nostro problema siamo noi, è irrimediab­ile: non si può stare a un metro di distanza da se stessi. Il fatto è che statistica­mente si ritiene che il “problema” sia l’altro. Oggi anche “untore”.

«Ma è proprio a causa del contagio che ci è stato chiesto di pensare all’altro. Non è facile: prevale la preoccupaz­ione per sé e al massimo per i propri cari. La solidariet­à, però, è una dimensione che appartiene all’uomo e alla donna di ogni epoca. Questo è il tempo di far germogliar­e la pianticell­a nelle parti aride del nostro essere, anche a rischio di venir fraintesi o di risultare invadenti. E’ stato scritto che non ci si salva da soli né dal virus né dall’indifferen­za né dalla solitudine. Auguro a tutti giorni pieni di un’intensa attività interiore e relazional­e, affinché nulla vada sprecato di questo prezioso dono che è la vita». Il fazzoletto di cielo che entra nel cortile del monastero di clausura disegna un quadrato perfetto. Si è dentro e fuori. Dipende da dove si guarda.

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In «cella» Rosa Lupoli, abadessa del Monastero delle Trentatré

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