Corriere del Mezzogiorno (Campania)
NULLA SARÀ COME PRIMA
Leggendo Facebook in questi giorni d’esilio casalingo che toccano a ognuno di noi, sentendo amiche ed amici anche scientificamente autorevoli, ho l’impressione di una inquietudine opaca che pervade le nostre vite. Oscilliamo fra timori e spavalderie e, a tratti, mostriamo una «ridicola» competenza. Ci abbandoniamo a gesti inconsulti come il frenetico tornare a casa da Milano verso il Sud e critichiamo spesso pregiudizialmente, l’operato di un Governo che, anche con contraddizioni e fragilità, sta affrontando, senza arroganza, una emergenza inedita. Una emergenza che svela impietosa i mali generati da una sanità nazionale gestita, e uso un eufemismo, malissimo. Piegata alle miserabili esigenze della politica e affidata a «strateghi» che si preoccupavano esclusivamente dei «vantaggi» che la loro azione avrebbe procurato al proprio sistema di potere. Su questo quadro che vede passato e presente intrecciati e dove la lettura di ciò che accade non può permettersi di essere smemorata, grava una specie di disorientamento insidioso che può provocare un arretramento della coscienza morale collettiva.
Grave quanto il virus, se non di più. Se non tentiamo di porci domande radicali rischiamo di non cogliere il senso vero di quanto sta accadendo. Di non valutare appieno questo effetto perverso della mondializzazione. Perverso e non previsto. Certo c’è l’urgenza ma c’è anche bisogno del sovvertimento di alcuni «valori» cardine di uno sviluppo che non sa più come farci vedere, in ogni momento, le sue miserie, le sue contraddizioni, la sua violenza. Di mostrarci quanto spietate e crudeli siano le dicotomie funeste di cui si nutre come quella, antica e feroce, tra anziani e giovani così che se muore un anziano o un’anziana non è una biblioteca che brucia come dicevano i cinesi, ma uno scarto che può essere mandato al macero. Il femminismo radicale, quello che non è caduto nella trappola della parità ed ha dato alle proprie pratiche politiche un orizzonte non arreso al già dato, ha indicato una strategia sulla quale varrebbe la pena di riflettere in questo momento di carestia culturale. Mi riferisco al senso del limite e al primum vivere. Due formule che non sono slogan ma percorsi alternativi sui quali si sono generate pratiche anche di gestione di città e pensiero, tanto pensiero. All’arroganza di un soggetto che riduce a sé tutto quello in cui si imbatte e che tutto ambisce a possedere, si è opposto il senso del limite non come riduzione dell’ambizione conoscitiva, anzi, ma come consapevolezza anche della fragilità dell’umano e del suo essere parte di una natura mai domabile completamente. La vita come obiettivo del vivere e dell’agire consapevole. Prima finalità per la scienza, la filosofia, l ‘urbanistica, la politica. Priorità di ogni scelta. Strategia per ogni azione contingente e di lungo respiro.
Sono due tracce. Due ipotesi di lavoro. Due criteri di scelta. Per non accontentarci dell’attesa che tutto torni come prima non solo perché niente tornerà come prima ma, anche, perché se così fosse, se tutto riprendesse la strada che ci ha portato a questo susseguirsi di cause ed effetti prevedibili, il virus cambierà nome ma non obiettivo. Saremo sempre più ostaggio e sempre meno liberi e libere. Se saremo.