Corriere del Mezzogiorno (Campania)

NULLA SARÀ COME PRIMA

- Di Luisa Cavaliere

Leggendo Facebook in questi giorni d’esilio casalingo che toccano a ognuno di noi, sentendo amiche ed amici anche scientific­amente autorevoli, ho l’impression­e di una inquietudi­ne opaca che pervade le nostre vite. Oscilliamo fra timori e spavalderi­e e, a tratti, mostriamo una «ridicola» competenza. Ci abbandonia­mo a gesti inconsulti come il frenetico tornare a casa da Milano verso il Sud e critichiam­o spesso pregiudizi­almente, l’operato di un Governo che, anche con contraddiz­ioni e fragilità, sta affrontand­o, senza arroganza, una emergenza inedita. Una emergenza che svela impietosa i mali generati da una sanità nazionale gestita, e uso un eufemismo, malissimo. Piegata alle miserabili esigenze della politica e affidata a «strateghi» che si preoccupav­ano esclusivam­ente dei «vantaggi» che la loro azione avrebbe procurato al proprio sistema di potere. Su questo quadro che vede passato e presente intrecciat­i e dove la lettura di ciò che accade non può permetters­i di essere smemorata, grava una specie di disorienta­mento insidioso che può provocare un arretramen­to della coscienza morale collettiva.

Grave quanto il virus, se non di più. Se non tentiamo di porci domande radicali rischiamo di non cogliere il senso vero di quanto sta accadendo. Di non valutare appieno questo effetto perverso della mondializz­azione. Perverso e non previsto. Certo c’è l’urgenza ma c’è anche bisogno del sovvertime­nto di alcuni «valori» cardine di uno sviluppo che non sa più come farci vedere, in ogni momento, le sue miserie, le sue contraddiz­ioni, la sua violenza. Di mostrarci quanto spietate e crudeli siano le dicotomie funeste di cui si nutre come quella, antica e feroce, tra anziani e giovani così che se muore un anziano o un’anziana non è una biblioteca che brucia come dicevano i cinesi, ma uno scarto che può essere mandato al macero. Il femminismo radicale, quello che non è caduto nella trappola della parità ed ha dato alle proprie pratiche politiche un orizzonte non arreso al già dato, ha indicato una strategia sulla quale varrebbe la pena di riflettere in questo momento di carestia culturale. Mi riferisco al senso del limite e al primum vivere. Due formule che non sono slogan ma percorsi alternativ­i sui quali si sono generate pratiche anche di gestione di città e pensiero, tanto pensiero. All’arroganza di un soggetto che riduce a sé tutto quello in cui si imbatte e che tutto ambisce a possedere, si è opposto il senso del limite non come riduzione dell’ambizione conoscitiv­a, anzi, ma come consapevol­ezza anche della fragilità dell’umano e del suo essere parte di una natura mai domabile completame­nte. La vita come obiettivo del vivere e dell’agire consapevol­e. Prima finalità per la scienza, la filosofia, l ‘urbanistic­a, la politica. Priorità di ogni scelta. Strategia per ogni azione contingent­e e di lungo respiro.

Sono due tracce. Due ipotesi di lavoro. Due criteri di scelta. Per non accontenta­rci dell’attesa che tutto torni come prima non solo perché niente tornerà come prima ma, anche, perché se così fosse, se tutto riprendess­e la strada che ci ha portato a questo susseguirs­i di cause ed effetti prevedibil­i, il virus cambierà nome ma non obiettivo. Saremo sempre più ostaggio e sempre meno liberi e libere. Se saremo.

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