Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La virologa: «I nostri pazienti in ansia per le famiglie»
Parla Carolina Rescigno, direttore della prima Divisione Malattie infettive dell’ospedale Cotugno «La nostra vita in trincea senza badare agli orari»
«Questo è stato sempre il reparto dell’emergenza. Oggi lo è ancora di più». La “trincea”, lo strenuo baluardo contro l’avanzata del Covid-19 in regione, si chiama ospedale Cotugno. Assieme al Monaldi e al Cto (Centro traumatologico ortopedico) è accorpato nell’azienda Ospedaliera dei Colli.
Dietro una vetrata si apre la prima divisione Malattie infettive ad indirizzo neurologico. La dirige Carolina Rescigno, infettivologa di lungo corso. «La nostra vita professionale? È profondamente cambiata da alcune settimane. E con essa anche quella personale e familiare», dice. «Ma — aggiunge — tutto questo impegno in più non ci pesa».
Qual è la differenza che salta di più agli occhi di voi operatori di prima linea tra oggi ed un mese fa?
«È semplice: sono saltati tutti i turni di lavoro. Non si bada più agli orari, non ti sfiora nemmeno l’idea di guardare l’orologio. Sappiamo quando entriamo la mattina ma non è immaginabile conoscere più l’orario di uscita».
A lei, ai suoi colleghi impegnati in questa battaglia, arriva l’eco della riconoscenza delle persone?
«Certo e ci fa piacere. Ma ora è il momento di darci dentro, di non fermarsi».
Cos’altro è cambiato nel suo reparto dall’inizio dell’emergenza Coronavirus?
«È il lavoro che è diverso. Nella nostra divisione prima dovevamo fronteggiare patologie come la meningite, l’encefalite. Era diversa anche l’età dei pazienti».
Patologie ugualmente importanti e delicate.
«È vero. Ma spesso, superate le 48 ore dalla diagnosi, ci si avviava anche verso una fotografia esaustiva delle condizioni del paziente. Ora è diverso».
Vuole dire che i tempi si sono allungati?
«Adesso siamo di fronte ad un quadro di pazienti che presentano pochi sintomi, e in pochi giorni si riprendono pur non potendo considerarli guariti. E ad un altro in cui siamo lì, per molti più giorni, a controllare la respirazione, l’ossigeno, l’idrogeno da somministrare. Possono passare settimane, è estenuante per loro e per noi».
E come si fa a tenere alto il morale di queste persone? Qual è la cosa che desiderano di più nel corso di questa difficile degenza?
«Le persone sono coscienti e angosciate. Ma la cosa che colpisce è che chi si ritrova a fronteggiare questo tipo di contagio non si preoccupa tanto delle sue condizioni quanto di quelle dei più stretti familiari. Ci chiedono e chiedono di loro».
E in che modo li aiutate?
«Con tutta la disponibilità possibile. Li mettiamo in contatto via telefono anche con i loro familiari in quarantena e questi ultimi posseggono il numero di telefonino di alcuni di noi del reparto. Il filo diretto, terapie permettendo, è continuo. Anzi a questo proposito vorrei rivolgere un ringraziamento personale».
”
Ci chiedono di parlare al cellulare con i propri cari, quando è possibile lo facciamo fare
Faccia pure.
«Mi piace ricordare alcune collaboratrici, le dottoresse Giulia Palmieri e Raffaella Pisapia, dotate anche di una grande umanità».
Dall’alto della sua esperienza, che idea si è fatta di questa emergenza?
«È qualcosa di diverso rispetto alle altre epidemie che ho trattato e che abbiamo fronteggiato in passato. Rispetto all’H1N1, alla Sars 1, anche all’Ebola, ha una progressione più allarmante. È più rapida nella diffusione ed è molto contagiosa. La peculiarità è proprio il numero elevato di contagiati: il rapporto è di uno a tre. E la diffusione è esponenziale». A questo proposito, che giudizio dà delle misure messe in campo dal governo per fronteggiare l’epidemia? «È stato fatto quello che si doveva fare. Le persone capiscano che siamo di fronte ad un pericolo difficile da combattere perché invisibile». E dei provvedimenti assunti dal governatore De Luca? «Sono in linea con il momento che viviamo. Personalmente li approvo in toto». Esistono momenti della giornata in cui si tirano anche sospiri di sollievo?
«Accade quanto un tampone è negativo. E quando l’associazione di due farmaci, già fatta ai tempi della Sars, dà risposte incoraggianti. Molti pazienti ora stanno meglio».
” Siamo felici anche solo per un tampone negativo I farmaci associati stanno dando frutti