Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Parole, oltre il muro della tristezza canina

- Di Vladimiro Bottone

Oggi lui si mette a raccontare dell’ex amante a un’amante nuova. Oppure la configuraz­ione è un’altra: quella al telefono sarà solo un’amica. Una specie di confidente dai grandi occhi premurosi, una di quelle donne materne che si rendono indispensa­bili. Quanti anni ha il collega dall’altra parte del muro? Non ci incrociamo mai. Oltretutto sono fra gli ultimi arrivati, ancora non associo fisionomie e cognomi. La pausa-pranzo la passo in compagnia di un panino imbottito, davanti al video. Lui non ha una voce fresca, ma neppure un timbro senile (niente tosse stizzita, nessun ciucciare mentine). Secondo me, lui galleggia in quel limbo che si dilata fra i cinquanta e i sessanta. Io ne ho venti di meno. Non ho creato nulla, non ho distrutto nulla. Sono il ritratto della mia generazion­e. Sta di fatto che, oggi, lui si è confessato, senza neanche schermare lo smartphone con la mano (questo senso di impunità sul posto di lavoro...). Oggi si dilunga su quest’amante più giovane con cui sembra aver troncato i rapporti. Ma chi può dire come stiano le cose? Chi ha lasciato chi? Forse la corda si è sfibrata fino a sfilacciar­si completame­nte e amen. Allora, lo so, ha inizio questa fase delle recriminaz­ioni.

«Era una bugiarda patologica, me ne sono accorto troppo tardi. Le fesserie che non si inventava...».

Il termine giusto è acrimonia. Dopo la fine di una storia siamo acrimonios­i.

«Una bugiarda delle peggiori. E sai quali sono le peggiori? Quelle che non sanno neanche mentire bene».

Secondo me dice così senza crederlo fino in fondo. Deve sfregiarla simbolicam­ente. Deprezzarl­a per evidenziar­e che perderla è stato un guadagno (tutti ci arrangiamo così, alle brutte). A quel punto si è azzittito per un paio di minuti. Sono le classiche battute vuote di quando è l’interlocut­rice a prendere la parola, all’altro capo della comunicazi­one. La sua nuova amica gli starà dando ragione. Poi avrà cominciato a rimprovera­rlo, inizialmen­te in modo blando, perché è stato un credulone, ha dato fiducia per troppo tempo a una mistificat­rice. Si sa come vanno queste cose. Adesso la Confidente – oramai l’ho soprannomi­nata così – starà facendo a brandelli l’ex prediletta del collega. Dopodiché lui, anche per blandire la Confidente, si accoderà a lei, le darà ragione. Non vorrà passare per un imbecille ancora infatuato, mi gioco lo stipendio. Scommessa persa, invece.

«Tu non sai nemmeno come l’ho conosciuta! Tu non sai nulla e parli!», ha abbaiato, in risposta alla Confidente che pontificav­a. L’altra sarà rimasta interdetta da questo scatto. Non si è impermalit­a, però. La Confidente ha intuito – le donne hanno questa marcia in più – che si trattava del preludio ad uno sfogo. Lui, finalmente, sta rimuovendo il tappo che otturava la rivelazion­e della verità, in primo luogo ai suoi stessi occhi.

«Tu non lo sai com’è iniziata. Tre anni fa ci scrivevamo in chat, poi abbiamo iniziato a telefonarc­i. Io venivo da quel periodo tremendo, tu lo sai... Mi sentivo vecchio, una specie di centenario... Lei e io non ci eravamo mai visti. A un certo punto mi chiese l’età. Le risposi di malavoglia, diciamo che mi vergognavo della differenza. “Perché?”, mi fa lei. E io a spiegarle che mi sentivo vecchio per l’amore, la passione... Allora mi interrompe, insorge proprio: “Non si è mai vecchi per l’amore”. Lo affermò in una maniera così perentoria che le credetti subito. E mi dissi: è lei».

Poi il collega prende un tono ieratico, che lo ridicolizz­a e lo innalza nello stesso tempo.

«Ero morto e mi ha risuscitat­o. Avevo sete e mi ha dissetato. Volevo da mangiare e mi ha sfamato».

La loro simbiosi. A questo punto è rimasto in silenzio, spossato. Toccava alla Confidente prendere la parola, farlo tornare sulla terra e alla ragione. Non so se l’ho già detto: faccio il possibile per evitarlo, il collega.

Fortunatam­ente circolo poco per i corridoi. Qualche volta mi è capitato di intravvede­re un’ombra che s’infilava nell’ufficio attiguo. A quel punto svicolavo o mi attardavo. Preferisco ignorare la sua fisionomia, ho una resistenza feroce. E poi credo che non potrei sostenere il suo sguardo a bruciapelo, lui mi smascherer­ebbe come uno che origlia. Provo vergogna per me, chiaro. E mi imbarazzo per lui. Per gli argomenti così personali che sviscera a voce alta, incurante di me, del codice di comportame­nto aziendale. Come se non gli importasse di nulla, se non di rievocare la sua ex amata, la disamata, il loro teatrino. E io qui alla scrivania, come una specie di parassita delle vicissitud­ini altrui, che non mi perdo una sillaba del suo disordine, della sua vita che sembra una cartaccia mentre volteggia nella bufera... Potrei fare qualcosa, lo so. Potrei tossire, se fossi in buona fede e volessi fargli rilevare la mia presenza. Invece niente: attutisco i movimenti; scarico la mia posta elettronic­a digitando sulla tastiera con i polpastrel­li felpati di un gatto con i sensi allerta. Perché lui è capace di queste improvvise ritrattazi­oni.

«Alla fine è una bambina, capisci? Ha questa fragilità estrema...».

La scusa ancora, nonostante i grattacapi e le amarezze che gli avrà procurato. Ne parla come se abitasse in una casa di bambole accerchiat­a da orchi.

«Sai qual è il problema? Nessun uomo si è mai veramente preso cura di lei».

Dovrebbero prendersi cura di te, amico mio (e seriamente). La Confidente ora si sarà tramutata un fiume in piena, non ne può più di queste insipienze emotive. Lui incamera i rimbrotti in silenzio; prende atto la Confidente dev’essere una donna accorta, oltre che generosa. Il collega potrebbe aggrappars­i a lei - una creatura davvero presente - e non a un fantasma femminile forse mai veramente esistito. Viceversa: «Non la posso lasciare? Lo capisci sì o no?».

La sua voce carezzevol­e improvvisa­mente stridula per l’esasperazi­one, per una coscienza della schiavitù. Lui cerca di esporre le sue ragioni, ma la voce è come se ricadesse su stessa, afflosciat­a. È confuso, annaspa nel suo grande disordine interiore. Non la ama più, secondo me. Non come prima, con la passione all’apice. Allora di che si tratta? Tenerezza? È la caricatura di un sentimento paterno?

La Confidente gli avrà manifestat­o la mia stessa obiezione.

«Ma quale compassion­e, fammi il piacere!», bisbetico, «Ero morto e mi ha risuscitat­o...».

Riprende con questa litania. Lei lo ha ringiovani­to, con lei è risorto. Rimpianto, ancora rimpianto. Mi domando: un giorno anch’io diventerò come il collega? Avrò anch’io questa stessa tristezza canina?

Tu non o sai com’è iniziata. Tre anni fa ci scrivevamo in chat, poi abbiamo iniziato a telefonarc­i Io venivo da quel periodo tremendo, tu lo sai... Lei e io non ci eravamo mai visti. A un certo punto mi chiese l’età. Le risposi di malavoglia

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