Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ricciardi: «Troppi arrivi dal Nord Questo è un rischio incalcolabile»
Il componente dell’Oms: anche le previsioni sul picco devono essere dimostrate in maniera empirica A Napoli una sanità sofferente, va attutito l’impatto
«Il rischio vero è tutto
NAPOLI contenuto in quel movimento di persone che nei giorni scorsi — e tuttora: come sembra si stia verificando anche in quest’ultimo week end — si è spostato da Nord a Sud e che ha finito per generare un allargamento dell’epidemia».
Walter Ricciardi, napoletano, con un passato da attore negli sceneggiati tv per ragazzi degli anni ‘70 e nei film di Mario Merola, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e attuale consulente del Governo e componente dell’esecutivo dell’Oms, dà l’allarme:
«Anche le previsioni sul picco massimo devono essere sempre verificate empiricamente. E non è detto che arriverà a metà aprile nel Centro Sud. La diffusione del contagio presenta già incrementi significativi».
Professore Ricciardi, nei giorni scorsi ha detto che preoccupa particolarmente l’impatto della diffusione del contagio da coronavirus su Napoli. Teme che il sistema sanitario campano non reggerà?
«Le severe misure governative che sono state assunte dovrebbero contribuire a porre un argine alla espansione dell’epidemia. O comunque servire a ritardarne gli effetti e attutire l’impatto su un sistema sanitario sofferente, ridotto in queste condizioni da tanti anni di tagli e di mancato turn over».
Lei dice che sarà una lotta
lunga, quella contro il coronavirus, che probabilmente ci vedrà impegnati fino alla prossima estate. La proiezione elaborata dal Cotugno prevede che il picco dell’epidemia si registrerà intorno al 14 di aprile in Campania. C’è tempo per correre ai ripari?
«Nessuno è in grado di dire, in realtà, quando sarà raggiunto
il picco dei contagiati. Tutti i modelli hanno una loro validità, ma sono alimentati da ipotesi che nel caso dei virus a trasmissione respiratoria risultano estremamente mutevoli e in certi casi non affidabili. Per cui ciò che dobbiamo fare è soprattutto monitorare l’andamento effettivo dell’epidemia. L’unica barriera che possiamo contrapporre
al rischio di contagio è quella di rimanere a casa».
Non si può fare altrimenti se sindaci e governatori vietano persino il passeggio o di sedersi sulle panchine.
«Mi sembra, però, che se non tutti, molti abbiano capito che se la casistica registrata in Lombardia dovesse essere confermata al Sud diventerà davvero molto problematico far fronte all’emergenza sanitaria».
Cosa può insegnare, in questi casi, l’esperienza drammatica della Lombardia?
«Ci insegna che occorre elaborare dei piani preventivi, perché quando ci si trova nel mezzo della tempesta si finisce per combattere in condizioni di estrema difficoltà. Questo breve periodo di tempo dovrebbe servire a tutte le regioni del Sud ad organizzarsi e a preparare dei piani di contrasto, in previsione di uno scenario che non si presenta per niente incoraggiante, ma che almeno potrebbe trovare tutte le strutture pronte o quasi».
C’è in queste ore un nuovo allarme a causa di una ulteriore ondata di rientri dal Nord. In Campania sono 2631 coloro che si sono autosegnalati e in isolamento volontario. Possibile che non si riesca a fermare l’esodo?
«Lo abbiamo scritto e ripetuto nei decreti ministeriali che bisogna rimanere a casa e uscire soltanto per motivi urgenti e di necessità. Questa mobilità, peraltro, sta accendendo piccoli focolai in tutta Italia, in misura puntiforme, che registriamo di giorno in giorno».
É presumibile che, in Campania, il picco di contagio possa aumentare il fabbisogno di posti letto in terapia intensiva fino a dieci volte il dato di ricoveri attuale?
«Di sicuro lo aumenterà enormemente. Nel caso della Lombardia, questo aumento è stato persino superiore. I colleghi lombardi mi dicono che si è scaraventato sui reparti di terapia intensiva, in due settimane, ciò che essi vedono normalmente in un anno. Ed è evidente che questo provoca una difficoltà di risposte».
Quali altri sforzi occorrerà compiere in Campania per tentare di smorzare gli effetti devastanti di questo impatto?
«In questi casi occorrerebbe avere una unica catena di comando e di comunicazione. Purtroppo la nostra Costituzione non lo prevede e quindi rende profondamente frammentario il processo decisionale. I decreti del presidente del Consiglio rappresentano un contributo importantissimo allo sforzo di unificazione dell’azione di contenimento dell’epidemia. Però poi la fase applicativa spetta alle Regioni, e quindi tutto diventa più faticoso, poiché un fatto è l’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale di quanto stabilito a livello centrale; un altro è sperare che ogni Regione faccia osservare quanto deciso, dato che c’è molta differenza tra enti territoriali, sia per capacità di risposta, sia per tenuta strutturale».
Perché il tasso di mortalità per o con coronavirus è più elevato in Italia rispetto alla Cina?
«Ci sono più motivi. Il primo è sicuramente l’età media dei nostri pazienti, che è di 65 anni, e quindi è più avanzata rispetto a quella dei cinesi, che, invece, è di 46 anni. Poi, noi nel calcolo della mortalità conosciamo bene il numeratore, ma non altrettanto il denominatore che, probabilmente, è molto più ampio, e quindi finirebbe per abbassare il dato dei decessi. Infine, il modo con il quale noi codifichiamo la mortalità: anche questo è un sistema applicato a livello regionale e quindi con tutti i ritardi che esso comporta».
Proiezioni Se la casistica registrata in Lombardia dovesse essere confermata al Sud diventerà davvero molto problematico far fronte all’emergenza sanitaria
Il contrasto al virus Questo breve periodo di tempo dovrebbe servire a tutte le regioni del Sud ad organizzarsi e a preparare dei piani di contrasto e posti letto