Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Zecchino: «Anche io chiuso in casa Bene De Luca, ma rilanci l’ospedale»
Ortensio Zecchino non ha mai lasciato Ariano Irpino. Né quando era parlamentare europeo, né quando per ben quattro legislature è stato senatore, né da ministro dell’Università e della ricerca (dal 1998 al 2001). Vive in quello che definisce «un piccolo villaggio», formato dalla sua casa e da quelle dei figli a poca distanza. Attualmente è presidente di Biogem, il centro di ricerca con una innovativa sede proprio nella Valle Ufita, che si occupa di Biologia e genetica molecolare, nato da una collaborazione tra Cnr, Stazione zoologica Anton Dohrn e vari atenei, compreso Milano Bicocca. Dalla quarantena del paese completamente chiuso ha scritto un appello al governatore Vincenzo De Luca.
Cosa gli chiede?
«Il rigore per certi versi esemplare con cui De Luca ha affrontato l’emergenza non può che riscuotere approvazione incondizionata. Egualmente deve dirsi per il calice amaro che ha imposto alla comunità arianese, la più colpita in Campania. Ma il rigore impone di andare fino in fondo. La precarietà della nostra situazione sanitaria è solo emersa con la pandemia, ma le cause sono remote e si legano a croniche deficienze di personale e attrezzature e a scelte non proprio improntate a logiche di efficienza. Le ricordo che l’ospedale di Ariano un tempo era definito “piccola svizzera”. Quando le endoscopie e le scintigrafie era poco diffuse, qui si eseguivano regolarmente. Poi sono venuti tempi bui e la situazione è precipitata».
È polemico, dunque. «Nessuna vacua polemica. Non è il momento. Ma al presidente De Luca chiedo di porre sotto la sua diretta responsabilità la gestione del nosocomio. Dopo i lutti, è ora di ripartire da zero».
Anche Biogem è fermo?
«È chiuso tutto quello che può esserlo, non certo lo stabulario. Abbiamo alcuni esperimenti in corso che non possono essere sospesi. Stiamo aspettando dalla Francia un pacco di cellule particolari, il mio impegno è trovare un modo per farle arrivare oltre la cintura».
L’epicentro della quarantena in Campania corrisponde con quello ricerca biogenetica. Un dato simbolico che colpisce.
«Questo riguarda l’imperscrutabilità delle vicende: la scintilla non si sa come e quando sia caduta in questo paese. Di fatto ora incide anche sulla vita dell’Istituto. Molti ricercatori vengono da fuori e questo ora è un problema».
La ricerca riguarda anche questa pandemia?
«Non abbiamo laboratori di virologia ma, quando si iniziò a delineare il contagio, con una importante virologa avevamo considerato l’ipotesi di un esperimento su un modello murino (di topi ndr) con stress respiratorio. L’idea richiedeva una serie di contatti che ovviamente sono stati impossibili. Ogni anno invitiamo un premio Nobel. A settembre toccherebbe al biologo statunitense Martin Chalfie, ma ci ha risposto che forse non è il caso di prendere impegni».
E lei come vive la quarantena?
«Come tutti. Siamo immersi in una condizione di eguaglianza nell’appartenenza alla specie umana. Sto riflettendo molto su questo aspetto, butto giù appunti… Non c’è una specificità arianese: questo virus sta dimostrando che le lontananze non esistono. Faccio un esempio: il presidente del comitato scientifico di Biogem è bergamasco e vive nella città più ferita d’Italia. È esattamente quel Giuseppe Remuzzi, a capo anche dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, che ha raccontato la tragedia di una classe medica decimata. Venti giorni fa era stato qui ad Ariano, ieri ci siamo sentiti dalle rispettive quarantene ed è atroce quello che mi ha riferito: scene da apocalisse. Mi ha detto: se dovessi scegliere tra salvare me e un giovane, cederei il posto a lui. Si rende conto?».
Lei è preoccupato? «Siamo una piccola comunità e tutti, prima dell’isolamento, abbiamo avuto contatti con molti. È difficile escludere l’ipotesi del contagio: viviamo in attesa che si consumino i giorni considerati canonici per essere fuori pericolo».
Si dice che ad Ariano potrebbe
esserci stata una guardia troppo bassa, tra feste di Carnevale e compleanni.
«Sono certo che questi aspetti siano stati enfatizzati più del necessario».
Per i ragazzi che non hanno vissuto il sisma dell’Ottanta, questo è il loro terremoto?
«Sì perché è una catastrofe, no perché è intangibile. Quando arrivai dal Parlamento europeo, spendendo seicentomila lire di taxi, e mi precipitai a Sant’Angelo dei Lombardi, davanti ai miei occhi c’era l’inferno dantesco. Questa, invece, è una paura latente, non ha un impatto visivo».
De Luca fa bene ma a questo punto è meglio che prenda lui il controllo del nostro nosocomio