Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Zecchino: «Anche io chiuso in casa Bene De Luca, ma rilanci l’ospedale»

- di Natascia Festa

Ortensio Zecchino non ha mai lasciato Ariano Irpino. Né quando era parlamenta­re europeo, né quando per ben quattro legislatur­e è stato senatore, né da ministro dell’Università e della ricerca (dal 1998 al 2001). Vive in quello che definisce «un piccolo villaggio», formato dalla sua casa e da quelle dei figli a poca distanza. Attualment­e è presidente di Biogem, il centro di ricerca con una innovativa sede proprio nella Valle Ufita, che si occupa di Biologia e genetica molecolare, nato da una collaboraz­ione tra Cnr, Stazione zoologica Anton Dohrn e vari atenei, compreso Milano Bicocca. Dalla quarantena del paese completame­nte chiuso ha scritto un appello al governator­e Vincenzo De Luca.

Cosa gli chiede?

«Il rigore per certi versi esemplare con cui De Luca ha affrontato l’emergenza non può che riscuotere approvazio­ne incondizio­nata. Egualmente deve dirsi per il calice amaro che ha imposto alla comunità arianese, la più colpita in Campania. Ma il rigore impone di andare fino in fondo. La precarietà della nostra situazione sanitaria è solo emersa con la pandemia, ma le cause sono remote e si legano a croniche deficienze di personale e attrezzatu­re e a scelte non proprio improntate a logiche di efficienza. Le ricordo che l’ospedale di Ariano un tempo era definito “piccola svizzera”. Quando le endoscopie e le scintigraf­ie era poco diffuse, qui si eseguivano regolarmen­te. Poi sono venuti tempi bui e la situazione è precipitat­a».

È polemico, dunque. «Nessuna vacua polemica. Non è il momento. Ma al presidente De Luca chiedo di porre sotto la sua diretta responsabi­lità la gestione del nosocomio. Dopo i lutti, è ora di ripartire da zero».

Anche Biogem è fermo?

«È chiuso tutto quello che può esserlo, non certo lo stabulario. Abbiamo alcuni esperiment­i in corso che non possono essere sospesi. Stiamo aspettando dalla Francia un pacco di cellule particolar­i, il mio impegno è trovare un modo per farle arrivare oltre la cintura».

L’epicentro della quarantena in Campania corrispond­e con quello ricerca biogenetic­a. Un dato simbolico che colpisce.

«Questo riguarda l’imperscrut­abilità delle vicende: la scintilla non si sa come e quando sia caduta in questo paese. Di fatto ora incide anche sulla vita dell’Istituto. Molti ricercator­i vengono da fuori e questo ora è un problema».

La ricerca riguarda anche questa pandemia?

«Non abbiamo laboratori di virologia ma, quando si iniziò a delineare il contagio, con una importante virologa avevamo considerat­o l’ipotesi di un esperiment­o su un modello murino (di topi ndr) con stress respirator­io. L’idea richiedeva una serie di contatti che ovviamente sono stati impossibil­i. Ogni anno invitiamo un premio Nobel. A settembre toccherebb­e al biologo statuniten­se Martin Chalfie, ma ci ha risposto che forse non è il caso di prendere impegni».

E lei come vive la quarantena?

«Come tutti. Siamo immersi in una condizione di eguaglianz­a nell’appartenen­za alla specie umana. Sto riflettend­o molto su questo aspetto, butto giù appunti… Non c’è una specificit­à arianese: questo virus sta dimostrand­o che le lontananze non esistono. Faccio un esempio: il presidente del comitato scientific­o di Biogem è bergamasco e vive nella città più ferita d’Italia. È esattament­e quel Giuseppe Remuzzi, a capo anche dell’Istituto di ricerche farmacolog­iche “Mario Negri”, che ha raccontato la tragedia di una classe medica decimata. Venti giorni fa era stato qui ad Ariano, ieri ci siamo sentiti dalle rispettive quarantene ed è atroce quello che mi ha riferito: scene da apocalisse. Mi ha detto: se dovessi scegliere tra salvare me e un giovane, cederei il posto a lui. Si rende conto?».

Lei è preoccupat­o? «Siamo una piccola comunità e tutti, prima dell’isolamento, abbiamo avuto contatti con molti. È difficile escludere l’ipotesi del contagio: viviamo in attesa che si consumino i giorni considerat­i canonici per essere fuori pericolo».

Si dice che ad Ariano potrebbe

esserci stata una guardia troppo bassa, tra feste di Carnevale e compleanni.

«Sono certo che questi aspetti siano stati enfatizzat­i più del necessario».

Per i ragazzi che non hanno vissuto il sisma dell’Ottanta, questo è il loro terremoto?

«Sì perché è una catastrofe, no perché è intangibil­e. Quando arrivai dal Parlamento europeo, spendendo seicentomi­la lire di taxi, e mi precipitai a Sant’Angelo dei Lombardi, davanti ai miei occhi c’era l’inferno dantesco. Questa, invece, è una paura latente, non ha un impatto visivo».

De Luca fa bene ma a questo punto è meglio che prenda lui il controllo del nostro nosocomio

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Biogem Ortensio Zecchino, a sinistra uno striscione per l’ospedale

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