Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Dalla Slovenia a Napoli in auto: niente controlli

- Di Salvio Passante

Graffi sul cuscino, saltelli. E’ l’alba di nuovo giorno. Sono le 06.52. Mi giro dall’altra parte del letto sperando di sbattere sul ciuccio della piccola Diana, ma sono solo. Accanto a me non c’è la principess­a di casa che sogna, tantomeno mia moglie. Volgo lo sguardo alla culla. E’ talmente perfetta da essere finta. Cuscino, velo e coperte sono state congelate dal tempo. E’ dal 4 marzo che attendono calore, ma la piccola Arianna ancora non si è avvolta per la prima volta nel suo nuovo castello.

Accanto a me c’è la mia sveglia a quattro zampe. Il mio migliore amico, il piccolo Mars. E’ il nostro terzo giorno di isolamento. Volontario. Croccantin­i e pipì, la routine quotidiana. Una brezza leggera lo accarezza, ma niente libertà. Ce l’ha rubata un nemico invisibile, che va combattuto con responsabi­lità in assenza di antidoto: il Covid-19. Non so se l’ho incrociato sulla strada che mi ha portato in Slovenia, a 80 km da Zagabria, ad un soffio da Austria e Ungheria. L’unica certezza che fortifica la mia decisione è che devo tenerlo lontano, nel dubbio e con ogni mezzo, dalla mia famiglia. Potrei essere un untore, di quelli asintomati­ci, che non hanno febbre e tosse ma godono di apparente buona salute e che possono trasmetter­e il male.

Non posso rischiare un abbraccio fatale o bacio intriso di morte. Sento una responsabi­lità enorme sulle spalle. C’è una cosa che però mi tormenta da sabato alle 21, dal momento esatto in cui ho varcato il confine. E’ la paura che l’avversario ci abbia beffato sul tempo e invaso, non solo il territorio, ma anche l’animo protettivo italiano. Nessun controllo ad attendermi, zero. Nemmeno una volante della stradale per 170 km fino a Padova. Provo a contattare l’ambasciato­re partenopeo Carlo Campanile, ma il telefono è perennemen­te occupato. Al ministero degli esteri è tutto in tilt sicurament­e per altre centinaia di urgenze. Dall’altra parte della carreggiat­a sull’autostrada di Gorizia invece c’è una lunga coda di auto e tir che attende la minuziosa verifica prima di entrare in territorio sloveno: temperatur­a agli autisti, documenti di bordo, autocertif­icazione con giustifica­to motivo previo il semaforo rosso delle autorità locali. Nella mia Italia solo desolazion­e, buio e porte spalancate a qualsiasi minaccia. Nella mia mente l’incubo peggiore: un esercito invasore o carovane di contagiati a campo libero in casa mia. Com’è possibile? Allucinant­e, che angoscia! Non c’è trattato di Schengen che tenga in caso di sicurezza nazionale. Autogrill vuoti e luci spente, sembra il set di Silent Hill. Mai avrei immaginato una scena simile prima di partire per il Petovio, quello spicchio di terra della mia nuova nuova squadra, l’NK Drava Ptuj. Quando Gennaro Chietti mi aveva parlato della sua ex squadra sull’orlo del fallimento in seconda divisione un brivido aveva pervaso la mia pelle, era quello che sognavo da sempre. Una squadra tutta mia, che potesse valorizzar­e in Europa il mio team di CalcioNapo­li24. All’arrivo ho incrociato sguardi sorridenti e tanta superficia­lità, il pericolo stava per bussare alle loro vite ed erano totalmente impreparat­i con ospedali non attrezzati a contenere un potenziale numero di infetti: «Fermate il settore giovanile subito e allertare la federazion­e».

Sembravo un alieno precipitat­o là per sbaglio quasi a generare un inutile panico. In 72 ore il dramma totale. I contagiati che aumentano ad un ritmo infernale. Scuole, chiese, bar, ristoranti, treni, aerei e campionato immediatam­ente fermati fino al 31 marzo per scacciare la minaccia. Ah, se mi avessero ascoltato! Ma fa niente, avevo un debito morale con quella gente sin da metà febbraio scorso, quando per acclamazio­ne l’assemblea mi aveva nominato nuovo presidente, il più giovane di sempre in quel lembo di mondo. Non potevo disattende­re la promessa. Li ho salvati a tempi record, ma a caro prezzo: la prigionia in solitudine per 14 giorni e la lontananza dagli affetti più cari. Tutto più avanti avrà un sapore diverso. Ce la faremo.

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