Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Confindustria: una guerra e molte aziende non ce la faranno
«Siamo in guerra». Vito Grassi, presidente degli industriali, parla fuori dall’ottimismo d’ordinanza: «È una guerra con tre linee precise: la prima fatta di medici e infermieri, la seconda delle istituzioni. E la terza è quella dei cittadini. L’80 per cento della popolazione sta a casa. Il messaggio, grazie anche ai media, è passato dritto e forte».
Il mondo produttivo come sta affrontando questa emergenza?
«In questo momento i corpi intermedi, tanto bistrattati, hanno ritrovato una centralità. Confindustria, ma anche Cna, Ance, insieme ai sindacati, hanno dovuto ragionare insieme perché si immaginava di lasciare lavorare solo settori strategici, come quello alimentare e sanitario. Ma non era possibile. La filiera necessaria doveva essere preservata».
E l’industria?
«È più difficile perché la filiera è internazionale. Serve equilibrio».
Ci può essere equilibrio tra diritto al lavoro e alla salute?
«Oggi si sta combattendo una battaglia per la vita, la priorità è la salute, senza dubbio. Ma anche per quella serve che alcune attività non si fermino».
Il Cerved ha stimato un possibile crollo dei fatturati aziendali.
«Ora non c’è da fare i conti, ma bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo e vedere come ricominciare. Se ho un’attività e la tengo ferma per due o tre mesi rischio di non riaprirla più. Per le industrie significa uscire dal mercato, non riprendere più il proprio ruolo. La verità è che essendo una pandemia globale servirebbero regole condivise globalmente. A cominciare dall’Europa, dovremmo parlare una sola lingua. Stabiliamo i settori strategici e sosteniamoli tutti. Monsignor Paglia dice: ora siamo tutti connessi, ma senza regole. Bisognerebbe fermarsi e ragionare su un interesse generale. Tutti connessi non vuol dire essere tutti fratelli».
Per le multinazionali che si stanno fermando è più facile?
«Per colossi come la Fca è meno rischioso stoppare la produzione per qualche giorno, già Leonardo e Hitachi stanno lavorando a regime ridotto invece».
Cosa pensa dello smartworking?
«Bellissima idea fino a quindici giorni fa, l’evoluzione di un modo di lavorare e di organizzare un’azienda. Oggi che è un obbligo, è molto meno poetica. Non è facile, senza contare che ci sono aree del Paese non connesse. È tutto basato sulla buona volontà. Basta constatare cosa accade nelle scuole. Dipende dai professori. Sono cose che non si inventano dalla sera alla mattina. Può darsi che dopo l’emergenza le grandi istituzioni capiscano che devono puntare su formazione, istruzione e agenda digitale».
Come deve cambiare il sistema economico, invece?
«Penso che la globalizzazione debba andare avanti di pari passo con la responsabilità sociale delle imprese e un ruolo delle istituzioni che devono mantenere le redini, ma uscire dalla gestione. E vanno colpite le speculazioni».
Lei non sempre è stato d’accordo con De Luca. Condivide la sua gestione dell’emergenza?
«Ha il ruolo di decisore, quindi dà sicurezza. In questa fase è utile».
Da imprenditore è più spaventato o pessimista?
Corpi intermedi
In questo momento così complicato i corpi intermedi, tanto bistrattati, hanno ritrovato una centralità
«Come imprenditori si è abituati a gestire la complessità con armonia. Ne usciremo tutti impoveriti, ma migliori eticamente e moralmente. Che forse vale di più»