Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA STORIA «Lavoro a Londra ho combattuto per tornare a Napoli Ma lì avevo paura»
Lydia Capasso ha 25 anni, ieri notte ha volato per Roma e poi ha raggiunto in treno la famiglia Da oggi si è organizzata con lo smart warking
E’ tornata questa notte da Londra, con un volo Alitalia. Atterrata a Roma, insieme con la sua coinquilina di Londra, ha trovato un autista ad attenderle. Quindi, di corsa in un B&B trovato grazie ad un amico che vive nella capitale e, stamattina, un treno per Napoli all'alba: niente Italo, né Alta velocità, ma solo un Intercity disponibile. Tutto organizzato al millimetro per essere alle 9.30 in città e alle 10 già operativa al lavoro, le 9 di Londra.
Lydia Capasso ha 25 anni e da settembre è stata assunta da una multinazionale nel campo dell’alimentazione, con base a Londra. Sei anni a Milano di studio intenso, con uno sguardo rivolto all'Europa, e la possibilità di vivere e lavorare in Inghilterra presa al volo. Con audacia e ambizione.
Ha accettato una serie di sfide con approccio internazionale, ma di fronte al Coronavirus ha fatto prevalere, con forza, l'italian style. «A Londra arrivavano notizie confuse di quel che stava accadendo in Italia — racconta con un piede sulla scaletta dell'aereo —. Le nostre famiglie, la mia e quella della mia coinquilina, hanno cercato di tenerci il più possibile al riparo da quello che stava accadendo. Quando, però, abbiamo ascoltato le misure che ha preso Conte in Italia abbiamo compreso che stava accadendo qualcosa di serio. Abbiamo capito che dovevamo reagire, fare qualcosa».
Un punto di vista che Lydia ha faticato a far accettare a capi e colleghi, che fin dal primo momento hanno glissato sui rischi da contagio e sulle paure individuali della giovane italiana.
Lei era spaventata, e sola, e in ufficio continuavano a consideravano finanche lo smart working una possibilità inesistente, non praticabile e non certo commisurata alle circostanze.
Lei ha insistito, è stata guardata come una aliena, ma ha tenuto duro. Due giorni fa, la sua azienda, ha fatto la prima prova di smart working, senza troppa convinzione. Poi in serata è arrivata a tutti i dipendenti una comunicazione in
Le nostre famiglie, la mia e quella della mia coinquilina, hanno cercato di tenerci il più possibile al riparo da quello che stava accadendo Ma ci siamo rese conto che non potevamo restare
”
I miei capi non volevano lasciarmi partire Ho atteso cinque ore prima di ottenere un sì Restare in Inghilterra, lontana dalla mia famiglia non era una opzione per me possibile
terna, che imponeva di restare a casa, fino a data da destinarsi.
«Lì ho deciso di tornare in Italia . Ho visto che all'improvviso era comparso un volo disponibile per Roma e non abbiamo esitato un solo istante. Io e l mia coinquilina abbiamo organizzato —- racconta — il volo, l'autista, il bed e il ritorno a Napoli in tempo per essere al lavoro alle 9 di Londra stamattina. Ma non è stato facile. Non volevano lasciarmi partire. Ho atteso cinque ore prima di ottenere un sì. Nessuno capiva che per me restare in Inghilterra, con l’incognita di un sistema sanitario che non conosco, lontana dalla mia famiglia non era una opzione possibile. Pensavano che potevamo restare in casa anche per due mesi ad aspettare gli sviluppi di questa vicenda».
In azienda hanno nicchiato a lungo, non capendo le motivazioni di Lydia che si è confrontata, ancora giovanissima, con le differenze culturali fortissime fra Italia e Gran Bretagna. Differenze che sono rimbalzate con forza, attraverso i telegiornali, nelle scelte adottate dai due Paesi per fronteggiare il contagio e sono divenute palpabili anche nelle storie personali, quelle quotidiane e minime.
«Mi sarebbe piaciuto trovare al mio fianco i miei capi — aggiunge Lydia —avere il loro appoggio. Ma non capiscono, non hanno il nostro senso della famiglia. Io, invece, non vedo l’ora di riabbracciare i miei. E di rimettermi al lavoro da Napoli per Londra».