Corriere del Mezzogiorno (Campania)

A cena tutto per Bene

- Di Enrico Fiore

Non a caso affronto il fantasma di Carmelo Bene subito dopo quello di Eduardo De Filippo. A Eduardo il divino Carmelo è contiguo: non solo per la statura artistica, ma anche per il fatto che fu l’unico attore con il quale Eduardo abbia mai accettato di misurarsi da pari a pari. E sicurament­e sono l’indice di un bel duello, sul piano dell’ironia demitizzan­te e demistific­ante, i racconti che Carmelo mi fece delle confidenze ricevute da Eduardo durante le cene che seguivano i loro recital di poesia. Ricordo, in particolar­e, quel che Eduardo sembra abbia risposto alla moglie che voleva sottoporre al suo giudizio dei testi propri: «In famiglia le commedie le scrivo io».

Ma, s’intende, erano un duello, non di rado infiorato della stessa ironia, anche le mie conversazi­oni con il gran Demiurgo dell’Assenza. Nel 1995 gli feci un’intervista a proposito della sua Opera Omnia, appena pubblicata nei Classici Bompiani. E sentite come cominciò. Quando gli ricordai che aveva dichiarato che non avrebbe più rilasciato interviste, mi rispose: «Il fatto è che quelle fra me e te non sono interviste: perché ognuno parla per conto suo». E certo, almeno non poteva non parlare per conto suo uno come lui.

Per esempio, in vista del recital sui «Canti» di Leopardi che tenne nel ‘94 a Casertavec­chia, mi disse: «È l’indicibile l’unica forma dei miei “recital”: in altri termini, il mio solo dire è quanto non si può dire. E questa è l’unica cosa che c’è da capire a teatro. Il teatro è grande laddove non c’è niente da comprender­e. Insomma, per quanto mi riguarda e riguarda ciò che faccio il discorso importanti­ssimo da sviluppare si riferisce proprio a questi concerti di poesia: che sono, piuttosto, degli “sconcerti”, in quanto costituisc­ono teatro senza spettacolo».

Un ossimoro? Se vogliamo metterla in questi termini, fu un ossimoro anche il mio primo incontro con Carmelo, del resto agitato come l’inizio di ogni rapporto vero. Quando, nel ‘77, a Telenapoli gli chiesero che cosa pensasse delle recensioni pubblicate dai quotidiani napoletani circa il «Romeo & Giulietta (storia di Shakespear­e) secondo Carmelo Bene» che aveva presentato al Politeama, la sua risposta fu addirittur­a plateale: il divino Carmelo afferrò per un pizzo «Il Mattino» e il «Roma», tenendoli tra il pollice e l’indice della destra e della sinistra come se fossero una cosa infetta e repellente, li sollevò in alto e poi li scaraventò sul tavolo dicendo: «Non capisco come oggi un giornale possa ancora far scrivere persone del genere!»; e lo stesso fece subito dopo con «Paese Sera», su cui

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