Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Che gran viaggio con l’«erba» di Venice
Flaminia ricordava la Death Valley e Luca capace di prenderla sul cofano dell’auto
Del viaggio in California Flaminia ricordava l’alberghetto a Venice e l’«erba» comprata su consiglio del concierge.
È il Decamerone rimodulato ai tempi del Coronavirus. Così la comunità di scrittori, editorialisti e intellettuali del Corriere del Mezzogiorno si ritroverà a proporci, ogni giorno, una loro novella. Perché Covid-19 ha cambiato, lo si voglia o no, i nostri stili di vita. E in certi frangenti un racconto aiuta a far passare la nottata. Riprendiamo lo schema di Boccaccio, decima giornata: avventure d’amore o altro genere, cortesi.
Etu con papà?
— Con papà cosa?
— Quand’è che hai capito che ti piaceva sul serio?
Alle diciotto e zero due piazza Testaccio dal balcone del terzo piano era deserta, le panchine vuote. Il Va’ Pensiero intonato dall’inquilino del terzo piano, un bigliettaio dell’Atac in pensione rivelatosi appassionato melomane, fluttuavano come petali nella luce viola di fine del pomeriggio.
— Che domanda è?
— Non è stato dall’inizio vero?
— Certo che è stato dall’inizio.
— Questo è quello che dici a lui. L’ironia e un certo distacco dal mondo erano le cose che Sara aveva preso da suo padre. Le gambe lunghe, invece, da lei. Una parte di Flaminia era convinta che ormai, a sedici anni, fosse ora che Sara le valorizzasse, invece di nasconderle sempre dentro quei pantaloni militari larghi con i tasconi. Possibile che non avesse nemmeno una gonna?
— Va bene. Il viaggio in California.
— Il famoso viaggio in California.
— Nell’88.
Oh, mia patria sì bella e perduta! Una donna grassa, mascherina in faccia e buste della spesa, dopo aver tagliato mezza piazza in diagonale, si fermò davanti alla fontana delle anfore a prendere fiato. Fiutò l’aria seguendo il canto: Oh, membranza sì cara e fatal!
— Da quanto vi conoscevate?
— Un mese.
— Fammi capire, sei andata dall’altra parte dell’Oceano con un mezzo sconosciuto?
— Un mese scarso in realtà. Tipo tre settimane.
Quando Sara sorrideva gli spigoli del volto si addolcivano e gli occhi le si riempivano di minuscole pagliuzze d’oro.
— Mi sembra una follia.
Flaminia si strinse nella spalle.
— E’ stato un bel viaggio?
— Bé…
Del viaggio in California Flaminia ricordava fondamentalmente delle grandissime scopate nell’alberghetto a Venice, Los Angeles, affacciato su un molo adibito a carico e scarico merci, dove lei e Luca erano rimasti chiusi in camera per tre giorni ininterrottamente. Non un hotel di lusso, perché Luca all’epoca non aveva una lira ma aveva insistito lo stesso per pagare tutto lui. Il ventilatore che faceva il rumore di uno scooter, il piccolo televisore appeso senza audio a un braccio articolato in un angolo in alto, il ciclo continuo di previsioni del tempo e immagini degli scontri a Tompkins Square Park. Ricordava la schiena bruna, nervosa e tesa di Luca che occhieggiava nel vecchio specchio ossidato di fronte al letto, i suoi riccioli neri appiccicati al collo dal sudore e il brillantino all’orecchio sinistro, la sensazione del corpo che si scioglieva nel materasso quando fumavano dell’erba buonissima, dolce e resinosa, che Luca si era procurato con il concierge dell’albergo.
Riusciva a farsi capire da tutti nel suo inglese sgangherato meglio di lei che per tutta l’adolescenza era stata spedita in costose vacanze studio in Inghilterra e Irlanda. Da una vecchia hippy del mercatino di Venice aveva voluto farsi predire il futuro: costava tre dollari, lui aveva ammesso di averne in tasca solo 25 centesimi e la vecchia era ovviamente di origini italiane e ovviamente Luca le stava simpatico, sicché aveva accettato i 25 centesimi e aveva sentenziato che lui e Flaminia avrebbero avuto una vita lunga e prospera ma dovevano stare attenti a una donna molto vicina a lei che li invidiava. Flaminia aveva ventisei anni, nessuna che la invidiasse, di questo era sicura, e soprattutto nessun progetto di vita — lunga, breve, prospera o grama che fosse — con Luca. Quel viaggio era partito come uno scherzo alle due di notte di un sabato di fine di giugno, sulla terrazza del Gianicolo, con lui che arrotolava una canna di erba di Battipaglia, la accendeva e le chiedeva se voleva accompagnarlo dove c’era l’erba davvero buona, ossia in California. Siccome prima di quella sera erano visti sì e no cinque volte, Flaminia si era messa a ridere e aveva sbuffato una bolla di fumo verso le luci di Roma sotto di loro. E invece il martedì successivo lui si era presentato davvero fuori dai cancelli della Sapienza con la sua Spider sgangherata di quarta mano e i biglietti per Los Angeles. Flaminia avrebbe voluto restituirglieli — quel viaggio sarebbe stato strano, sarebbe stato imbarazzante, poteva essere pericoloso — la quasi totalità delle sue amiche di Roma Nord le aveva sconsigliato assolutamente di farlo: solo Camilla aveva insistito perché ci andasse e siccome all’epoca Camilla deteneva saldamente il ruolo del suo emisfero irrazionale, Flaminia partì. Non fu strano, non fu imbarazzante, pericoloso sì ma per motivi diversi da quelli che aveva immaginato. A San Francisco per la prima volta in vita sua Flaminia Bernabei provò il brivido di uscire da un ristorante senza pagare (“fare il vento”, si sarebbe detto a Roma: Luca le aveva spiegato che l’importante era alzarsi da tavola con calma). Per la prima volta scopò en plein air in un bosco, nello Yosemite, il respiro del vento nel buio che assecondava il respiro dei loro corpi, la cupola celeste spruzzata di schiume fosforescenti come i quadri di Pollock che le piacevano tanto.
Nell’auto a noleggio in corsa alle due di notte nella Death Valley, Luca l’aveva ascoltata parlare un’ora filata di quanto profondamente, segretamente, avesse desiderato una sorellina da bambina e di quanto avesse odiato sua madre da adolescente quando aveva scoperto che era stata lei, deliberatamente, a rifiutarsi di dare un altro figlio a suo marito, che pure l’avrebbe voluto. E poi di come sua madre a un certo punto si fosse congedata dal consesso degli uomini e nel giro di un paio d’anni il suo corpo un tempo bellissimo e desiderabile si fosse trasformato in un bozzolo rugoso. Flaminia nel profondo aveva sempre immaginato che anche quella, la malattia, fosse stata una scelta deliberata perché sua madre non sopportava di vedersi vecchia e brutta nel mondo, e era questo un pensiero orrendo, irrazionale e spietato, che l’aveva fatta sentire in colpa per anni e che prima di allora aveva avuto il coraggio di confessare solo al suo analista di via Monte Zebio dopo 8 anni di terapia. Adesso lo stava confessando a questo sconosciuto, in un punto x del deserto della Death Valley. Come ci era riuscito, pensò?
A dieci miglia dal confine con l’Arizona la benzina dell’auto a noleggio finì. Secondo lui perché il contatore era guasto, in realtà perché prima di partire, per calcolare il carburante alla goccia aveva fatto male i conti al distributore. Mentre aspettavano seduti sul cofano che qualcuno passasse a salvarli fumarono il po’ di erba che gli restava da Venice. Era notte in pieno deserto, non passava nessuno e Flaminia che normalmente avrebbe avuto il terrore di finire sbranata dai coyote, si lasciò sollevare in aria dalle carezze del Thc, e ebbe l’istantanea, sintetica e luminosa epifania che non correvano nessun pericolo perché, tanto, niente di ciò che li circondava era reale. Non era reale il deserto, non erano reali i fantasmi dei cactus nel buio e i cartelloni giganti di Real Estate Development, era tutto un magnifico confusissimo sogno, e mentre pensava questo le venne da ridere, e si chiese dove era stata nascosta tutta quella vita irreale nei suoi passati ventisei anni. Quindi gli aveva dato la schiena, aveva appoggiato i gomiti sul cofano e aveva chiesto a Luca di scoparla così e mentre lui la scopava avrebbe continuato a sentire premerle in gola insieme il riso e il pianto.
Sì, — disse a Sara — è stato proprio un bel viaggio.
Glielo disse mentre il Va’ Pensiero finiva — Che ne infonda al patire. Al patire virtù: mentre dalle finestre partivano gli applausi, in piazza un carabiniere si accostò alla donna grassa, disse qualcosa, la donna di malavoglia raccolse le buste e si mosse. Flaminia pensò che da qualche parte in un armadio doveva avere una sua gonna dell’88. L’avrebbe regalata a Sara per la riapertura delle scuole.