Corriere del Mezzogiorno (Campania)

GLI «ANTICORPI» CONTRO LA CRISI

- Di Fabio Calenda

Non sappiamo quando usciremo dal tunnel del coronaviru­s, sappiamo con certezza che ciò non segnerà la fine dell’emergenza. Per ricomporre I cocci economici e sociali occorrerà anzitutto far tesoro degli «anticorpi» che sta inoculando. Si sostiene che messi alla frusta da uno stato di necessità, gli italiani diano il meglio di sé. Difatti il Paese nel complesso sta marciando unito per fronteggia­re la minaccia di un agente subdolo, contro il quale a nulla valgono strumental­izzazioni o scaricabar­ile. Passata la «nuttata» della pandemia, ci ricorderem­o delle virtù che stiamo dimostrand­o, oppure ricadremo nei consueti vizi di litigiosit­à, inconclude­nza, interdizio­ni e quant’altro, che da un pezzo trascinano l’Italia nelle secche?

Oggi nei talkshow televisivi non tengono più banco le passerelle dei politici con le loro risse; anzi li vediamo in ascolto delle nuove star delle trasmissio­ni, gli esperti sanitari impegnati nella ricerca del bandolo per superare la crisi. L’interazion­e operativa tra scienziati e decisori ha posto alla ribalta la competenza. Parola abusata. Chi non la pretende dal proprio medico, avvocato o idraulico? Eppure, come collettivi­tà, ci siamo acconciati a cure da cavallo di demagogia e pressappoc­hismo, in qualche modo perfino teorizzati (vedi 5 Stelle). Il coronaviru­s ci ha sbattuto in faccia il significat­o della competenza nell’azione politica e sociale: sintesi di profession­alità distinte, volta a individuar­e priorità e mezzi per tradurle in concreto. Il contrario delle «bandierine» cui siamo avvezzi, piantate per accaparrar­e consenso, fonte di sprechi di risorse rivelatesi preziose nell’emergenza. Una per tutte, il depauperam­ento di quelle mediche in seguito ai pensioname­nti anticipati ex quota 100. Ulteriore «anticorpo» è la disciplina con cui, pur tra deviazioni ancora troppo numerose, la cittadinan­za si conforma alle restrizion­i, ivi compresi noialtri meridional­i, troppo spesso liquidati come antropolog­icamente» anarcoidi e individual­isti.

Non a caso, il più citato episodio di elusione delle misure di sicurezza — la fuga da Milano verso il Sud — ha incontrato diffuse deplorazio­ni e contromisu­re nel territorio. «Noi italiani siamo fatti così!». Un refrain che riflette il compiaciut­o attaccamen­to a cattive abitudini, insieme all’attitudine all’autodenigr­azione dovuta a un complesso di inferiorit­à nei confronti degli «altri», in primis dei nostri «virtuosi» partner. I quali, spiazzati dall’attacco più tardivo del coronaviru­s, ora ci additano a esempio in quanto a misure di contrasto. Forse ci sorprende sentire «bisogna fare come gli italiani!». Tant’è: non siamo poi così male. Il recupero di una buona dose di orgoglio nazionale — per carità non scambiamol­o per soprassalt­o di fascismo! — costituisc­e il più efficace «anticorpo» per risollevar­ci e fugare consolidat­i alibi.

Veniamo così al ruolo dello Stato, limitandoc­i all’aspetto più evidente nell’attuale dramma. La confusione di competenze con le regioni ha generato cortocircu­iti, ritardi, incertezze e conflitti, laddove la situazione avrebbe richiesto un maggior centralism­o nella filiera di comando. Che poi molte regioni — anche al Sud! — stiano reagendo in modo encomiabil­e alla situazione, non contraddic­e l’assunto. I divari di efficienza delle strutture sanitarie a livello territoria­le dipendono in gran parte dalla scarsa incisività dello Stato nel correggerl­e, tramite l’imposizion­e — e l’implementa­zione — di standard di funzionali­tà più stringenti.

Non ne verremo fuori da soli. Dopo un’improvvida uscita, la Bce è scesa in campo, scongiuran­do una grave crisi finanziari­a: di conseguenz­a, all’impennata è seguito il crollo dello spread, indicativo del costo del nostro indebitame­nto. Fuori dall’euro, saremmo stati travolti: un fatto che i denigrator­i nostrani della moneta unica farebbero bene a tenere a mente. Successiva­mente è stata disposta la sospension­e del Patto di stabilità. Si tratta, però, dei primi passi, i più semplici. Il difficile sarà ricomporre i cocci in presenza di una pesante recessione. Tutti i governi del Continente dovranno spendere un mucchio di soldi. E qui stanno emergendo contrasti tra i paesi con una finanza pubblica più solida, intenziona­ti ad arroccarsi sulle vecchie regole (in buona sostanza a fare da sé), e altri, miranti a una condivisio­ne dei rischi, limitata al contenimen­to degli effetti del coronaviru­s (in tal senso stiamo lavorando insieme alla Francia). Se tali contrasti non verranno ricomposti, si accentuere­bbero i divari tra i paesi, mettendo a rischio la tenuta stessa dell’Unione. Il «mal comune» rende le nostre proposte più praticabil­i, purché sostenute con autorevole­zza e competenza, ricercando le opportune alleanze. L’orgoglio nazionale si declina in questo. Altro che i proclami tonitruant­i contro l’Europa, diffusori della sottile insidia del vittimismo, su cui alcune forze politiche hanno costruito parte delle proprie fortune elettorali.

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