Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lo strano mondo esterno che non conosciamo più
Ieri avevo detto che oggi avrei parlato di chi è ancora costretto a uscire tutti i giorni per andare a lavoro.
Sono tanti, anche se non si direbbe. Solo tra i miei amici, un buon trenta, quaranta per cento (che è la percentuale delle aziende ancora aperte in Italia). Noi – e con noi intendo noi che non stiamo uscendo se non per fare la spesa o per buttare la spazzatura o far fare la pipì al cane – noi, dicevo, non abbiamo davvero idea di come sia il mondo fuori, ora. Non lo conosciamo più. Siamo abituati a Napoli, o alla nostra città, qualunque essa sia, congestionata di traffico, invasa dai clacson, persone ovunque, pedoni che ci attraversano la strada in obliquo (spesso quei pedoni siamo noi, ammettiamolo). Fruttivendoli, salumieri, rosticcerie, pizzerie da asporto. Dall’ora di pranzo all’ora di cena un continuo viavai di persone affamate che mangiano appoggiate a tavolini all’aperto o che sorseggiano caffè al volo con un amico incontrato per strada. Be’: il mondo adesso, come immaginate, non è più così. Me lo sono fatto raccontare ed è come stare su un altro pianeta. Ogni sentimento, mentre si è nel mondo esterno di oggi, lascia spazio a uno più dominante: l’agitazione. Ogni cosa che viene fatta, ogni azione compiuta, ha come sfondo l’agitazione.
Non è semplice paura di un contagio, ma è la sensazione di star compiendo – così mi raccontano i miei amici – sempre qualcosa di illegale. Come se abitare il pianeta, respirare fuori dalla propria casa, sia un reato, sia pericoloso, per sé stessi e gli altri (quei pochi che ancora escono). Come al solito, più della verità in sé, è la percezione di questa a farci vivere le cose. A farcele entrare nel cervello. Il mondo non è pericoloso. Quando saremo fuori da questa catena di contagi, facciamo in modo di non dimenticarcelo. Sarebbe imperdonabile.