Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lo strano mondo esterno che non conosciamo più

- di Marco Marsullo

Ieri avevo detto che oggi avrei parlato di chi è ancora costretto a uscire tutti i giorni per andare a lavoro.

Sono tanti, anche se non si direbbe. Solo tra i miei amici, un buon trenta, quaranta per cento (che è la percentual­e delle aziende ancora aperte in Italia). Noi – e con noi intendo noi che non stiamo uscendo se non per fare la spesa o per buttare la spazzatura o far fare la pipì al cane – noi, dicevo, non abbiamo davvero idea di come sia il mondo fuori, ora. Non lo conosciamo più. Siamo abituati a Napoli, o alla nostra città, qualunque essa sia, congestion­ata di traffico, invasa dai clacson, persone ovunque, pedoni che ci attraversa­no la strada in obliquo (spesso quei pedoni siamo noi, ammettiamo­lo). Fruttivend­oli, salumieri, rosticceri­e, pizzerie da asporto. Dall’ora di pranzo all’ora di cena un continuo viavai di persone affamate che mangiano appoggiate a tavolini all’aperto o che sorseggian­o caffè al volo con un amico incontrato per strada. Be’: il mondo adesso, come immaginate, non è più così. Me lo sono fatto raccontare ed è come stare su un altro pianeta. Ogni sentimento, mentre si è nel mondo esterno di oggi, lascia spazio a uno più dominante: l’agitazione. Ogni cosa che viene fatta, ogni azione compiuta, ha come sfondo l’agitazione.

Non è semplice paura di un contagio, ma è la sensazione di star compiendo – così mi raccontano i miei amici – sempre qualcosa di illegale. Come se abitare il pianeta, respirare fuori dalla propria casa, sia un reato, sia pericoloso, per sé stessi e gli altri (quei pochi che ancora escono). Come al solito, più della verità in sé, è la percezione di questa a farci vivere le cose. A farcele entrare nel cervello. Il mondo non è pericoloso. Quando saremo fuori da questa catena di contagi, facciamo in modo di non dimenticar­celo. Sarebbe imperdonab­ile.

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