Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Di Sarno, medico in trincea: gente sana deceduta in due ore, questo virus fa paura anche a noi

«Gente sana deceduta in due ore Quest’emergenza fa paura anche a noi»

- di Monica Scozzafava

NAPOLI Trentasei, sessanta, settanta. Non sono numeri, ma ore. Ore di lavoro in corsia in una settimana, i turni ininterrot­ti dei medici. «Ripeti la Tac ai polmoni, se è il caso falla anche al cranio». Raffaele Vincenzo Di Sarno, dirigente della prima divisione dell’ospedale Cotugno, dà l’ennesima indicazion­e a un collega durante una delle infinite giornate di battaglia al virus. Mentre in Rianimazio­ne c’è una emergenza, nella tenda del pretriage, all’ingresso del presidio infettivol­ogico, ci sono decine di persone in attesa per il tampone. «Mentre mia figlia di 17 anni mi manda un wapp: papà, ti prego stai attento. Come faccio a dirle che per la prima volta in trent’anni ho paura anch’io?».

Dottore Di Sarno, la paura è un sentimento che nell’immaginari­o non appartiene ai medici.

«Non dovrebbe e non è. Ma quando ti capita di vedere gente che arriva qui con le gambe proprie e dopo due ore lotta per sopravvive­re in Rianimazio­ne, forse anche noi medici ci ricordiamo di essere persone vulnerabil­i, con sentimenti e reazioni che troppo spesso mettiamo a tacere. Comunque siamo in guerra e ce la faremo. E non è ottimismo di facciata. Supereremo anche questa».

Un’immagine, una voce che ha nella testa.

«Quella di un collega deceduto qui qualche giorno fa. Prima di essere intubato ha detto al rianimator­e: posso fare soltanto una telefonata? De vo sentire mia moglie. É stata l’ultima volta che ha parlato con lei. Ecco, quando vedi scene del genere, comprendi che questa esperienza anche per noi medici è unica. Ne abbiamo viste tante, al Cotugno siamo stati in prima linea a causa di tante epidemie, più o meno difficili da gestire. Ma il Covid è un nemico unico e subdolo che ricorderò per sempre».

Ricorda anche i volti di chi è guarito?

«Tanti volti, tante voci. La gioia è incontenib­ile, a volte capita di voler parlare tutti (con l’interfono e cellulare) con questi pazienti. Condivider­e con loro un altro momento unico: l’uscita dal tunnel. Qui abbiamo tante situazioni critiche, ma la maggioranz­a delle persone colpite da Covid ce la fa. Resiste e ci dà la speranza per andare avanti e curare altri pazienti. Rispetto a un mese fa abbiamo numeri e soprattutt­o esperienze. Non conoscevam­o il nemico, ora però iniziamo a fronteggia­rlo. La settimana scorsa è stata drammatica».

Ci dica.

«Avere il 10 per cento di mortalità ci ha spaventato. Vero che rispetto alla Cina abbiamo una popolazion­e più anziana, ma il dato è stato terribile. Adesso va un po’ meglio, il trend dei contagi sembra in leggera flessione. Aspettiamo».

I numeri dicono che calano i contagi, ma c’è tanto sommerso: pazienti che sono a casa, ai quali il tampone non è stato fatto. O anche pazienti positivi asintomati­ci e dunque inconsapev­oli.

«Sicurament­e, in questa fase però le nostre stime sono riferite a chi sta peggio. A chi necessita di ricovero, a chi non può curarsi a casa. Sperando che le misure restrittiv­e di distanziam­ento sociale ci diano buoni risultati. Noi possiamo fare turni di lavoro massacrant­i, curare e incoraggia­re gli ammalati, ma restare a casa è fondamenta­le».

Molti medici sono risultati positivi, lei non teme il contagio?

«Certo, può accadere anche a me. In questa settimana ho fatto tre tamponi. Siamo un polo infettivol­ogico, l’unico con pronto soccorso in Italia, qui i percorsi sono protetti e le attrezzatu­re per noi sanitari non mancano».

Vede i suoi figli?

«Ho imposto loro l’isolamento, ma dopo tre tamponi negativi, adesso spero di vederli».

Perché ne ha fatti tanti? «Evidenteme­nte avevo avuto contatti a rischio».

Com’è la situazione in questo momento al Cotugno?

«Abbiamo 128 pazienti positivi, 9 casi sospetti. In rianimazio­ne, tra Monaldi e Cotugno sono 23. Speriamo di migliorare».

Calano i contagi, ma aumentano le vittime. E non sono anziani.

«Purtroppo è così, anche i nostri pazienti non sono tutti anziani. Persone in apparenza sane».

Un’immagine, ancora.

«Il volto visto da lontano di chi non ce la fa a respirare, la speranza che possa superare la crisi. Un pensiero fisso: se fossi malato vorrei che i mei cari mi assistesse­ro. Il Covid non lo consente».

Un appello.

«Restate a casa».

” Un collega deceduto qualche giorno fa prima di essere intubato ha detto: posso fare soltanto una telefonata? Devo sentire mia moglie É stata l’ultima volta che ha parlato con lei

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Dirigente medico Raffaele Vincenzo Di Sarno in un momento di pausa al Cotugno

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