Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Paladino: Cicelyn? Gesto creativo, performance guascona e spavalda
L’artista si esprime sull’articolo del gallerista e sulle sue conseguenze: mi piace pensare che sia stato un intervento futurista, underground
NAPOLI «La sensazione che mi ha dato l’articolo di Eduardo Cicelyn? Quella di un sogno futurista, una scena morettiana simile a quelle del film “Caro diario”, un qualcosa che non so nemmeno se sia accaduto davvero, ma che esprime piuttosto la necessità di chi scrive di uscire dalla clausura di questi giorni terribili con una fuga innanzitutto mentale. In una città, inoltre, che con la sua bellezza può dare la sensazione di essere esente da questo terribile morbo». L’artista Mimmo Paladino esprime la sua opinione sull’intervento pubblicato dal gallerista sul «Corriere del Mezzogiorno» che ha scatenato molte polemiche ed è costato al suo autore la permanenza domiciliare ordinata dalla Asl Napoli 1 Centro.
Lei che conosce molto bene Cicelyn, si è meravigliato di questa sortita?
«No, con Eduardo ci frequentiamo da molti anni e credo che la sua non sia una provocazione fine a sé stessa, né un’istigazione a seguire il suo esempio, ma piuttosto un gesto liberatorio, magari guascone e spavaldo, come è nel suo carattere. Ma diciamo che in tempi di necessaria quarantena la sua è stata una sorta di performance, pur non essendo lui un artista. D’altra parte a fronte di una situazione forte e inedita come quella che stiamo vivendo in questi giorni con i provvedimenti atti ad arginare la diffusione del Coronavirus, non mi pare che pittori, musicisti o scrittori abbiano fatto qualcosa di analogo. Eppure le circostanze per qualcosa di eclatante dal punto di vista creativo ci sarebbero tutte».
L’arte, quindi, come terreno di libertà espressiva totale, anche in tempi come questi?
«L’arte non può conoscere limitazioni né regole imposte se non quelle rigorose del mestiere stesso. E un gesto simile va letto proprio come un tentativo di infrangere l’atmosfera cupa, plumbea e glaciale, che stiamo vivendo tutti. Io non ho avuto modo di sentire Eduardo e quindi seguo un mio ragionamento e mi piace pensare che il suo sia stato un intervento un po’ situazionista, da rivista underground più che da quotidiano».
Come giudica i provvedimenti presi nei suoi confronti?
«Forse eccessivi, considerando che si parla di scrittura e non di flagranza, ma prevedibili».
E Paladino dove e come sta trascorrendo la sua quarantena?
«Per caso mi sono trovato proprio a Milano, perché mia figlia Ginestra doveva recitare al Teatro dell’Elfo, cosa poi ovviamente bloccata, e quindi alla fine siamo rimasti qui. Dove da anni ho una casa e abbiamo deciso di restarci quando si è capito che tornare in Campania non sarebbe stato possibile. Così mi sono procurato i colori e ho iniziato a occupare il tempo con il mio lavoro».
Sta dipingendo?
«Sì, e devo confessare che in fondo l’idea della quarantena, della chiusura nel proprio studio, non è mai estranea al pittore, che quando è alle prese con un quadro ha bisogno di tempo, e perfino di isolamento, per poter portare avanti al meglio l’opera che sta realizzando, con tutte le riflessioni e i ripensamenti che ogni dipinto porta con sé».
E in particolare questi giorni cosa le hanno suggerito?
«Ho pensato a un mio dipinto del 1977, “Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro”, con il quale dopo anni di imperante arte concettuale e di multiformi performance, sceglievo il ritorno alla pittura. Erano gli anni di piombo e quella pesantezza la rivivo oggi, sia pure con tutte le evidenti differenze. E guarda caso mi trovavo proprio a Milano, in una città vuota come adesso. Così mi sono chiuso nel mio studio lombardo e mi sono messo a dipingere quadri piccoli, di 1 metro per 1 metro e 30, creando una sorta di suite sinfonica per colori. Tele gialle, rosse, blu, in cui sono comunque presenti oggetti e figure. Sono cose nuove, per certi versi inedite, pur rimando riconoscibile il mio stile. D’altra parte il luogo in cui lavori è molto importante ai fini del risultato dell’opera. La ispira e la condiziona al tempo stesso. Per esempio a Paduli nel Sannio, dove abito, ho spazi molto più ampi e anche le opere risentono di queste grandi dimensioni, anche dal punto di vista del gesto pittorico».
Da Paduli a Napoli non sono molti i chilometri. Da quanto manca dalla città partenopea?
«Da non molto, sono stato al San Carlo in gennaio per la “Tosca” diretta da Edoardo De Angelis, per cui ho realizzato le scene. Non conoscevo personalmente il regista, ma si è creata subito una bella intesa, con la quale abbiamo dato vita a un’esperienza molto interessante. E comunque ci tornerò presto, appena sarà finita questa brutta storia».