Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Contagiati medico e due infermieri «Un pericoloso focolaio in carcere»
Santa Maria Capua Vetere, comunità in ansia Gli amministratori: finora tenuti all’oscuro I penalisti: dall’istituto non ci danno risposte
NAPOLI Non è più solo il dirigente medico dell’ambulatorio all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere ad essere rimasto contagiato dal Coronavirus. L’episodio era venuto alla luce la scorsa settimana. La notizia di ieri è che dai tamponi effettuati negli ultimi giorni sui sanitari del presidio medico sarebbero emersi altri due casi di positività. Si tratterebbe di due infermieri in servizio nei medesimi uffici e cresce, a questo punto, l’attesa per i risultati degli altri test.
Si teme, e da più parti, che l’istituto di pena possa essere un altro focolaio di contagio in un contesto urbano che si segnala già come quello che ha i numeri più alti in provincia di Caserta. A ieri erano 22 i casi di contagio accertati dall’inizio dell’emergenza, tre persone affette non ce l’hanno fatta. «Ad oggi non ho ricevuto alcuna comunicazione né formale né ufficiosa da parte della direzione del carcere su quanto sta avvenendo al suo interno. Ricordo che sono sempre la massima autorità sanitaria sul territorio» ha commentato un infastidito sindaco Antonio Mirra a metà pomeriggio. «Mi ritrovo, pertanto, a commentare notizie riportate dagli organi di stampa in assenza di qualsivoglia comunicazione. Entro domani (oggi per chi legge, ndr) — ha proseguito — chiederò formalmente notizie dettagliate alla direzione del penitenziario».
La richiesta di chiarimenti alla direzione dell’istituto e all’amministrazione penitenziaria su cosa accade all’interno dell’«Uccella» si leva da più parti. È ancora senza risposta, ad esempio, quella avanzata con una pec nella giornata di martedì dalla Camera penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (ne dava comunicazione agli avvocati iscritti martedì sera la segretaria Olimpia Rubino specificando che nella lettera si chiedeva «di prendere contezza della situazione in essere, di conoscere eventuali protocolli di sicurezza adottati e, di conseguenza, di apprestare misure idonee a tutela di coloro che avessero necessità di recarsi presso la struttura») mentre a questa ieri si è aggiunta anche la presa di posizione dei Radicali per il Mezzogiorno Europeo. Attraverso
Raffaele Minieri, membro della direzione nazionale dei Radicali italiani, il movimento ha lanciato l’allarme chiedendo alle istituzioni di evitare che «il carcere si trasformi in un focolaio del virus con enormi conseguenze sul sistema sanitario».
Perché il punto resta quello di porre al più presto in essere forme di prevenzione dal contagio nei confronti degli ospiti della struttura. Il carcere di
Santa Maria Capua Vetere ospita attualmente 2.020 detenuti (fonte Antigone) a fronte di una capienza di 818.
«È chiaro — ha ripreso il sindaco Mirra — che se si tratta di un fenomeno ristretto, la gestione dell’emergenza resta una questione interna all’amministrazione penitenziaria. Ma se dovesse allargarsi il contagio, la situazione diventerebbe più preoccupante e la comunità ha il diritto di sapere come stanno le cose». Il primo cittadino, attraverso i social e i numeri di call center attivati all’alba dell’emergenza sanitaria, ha un rapporto diretto e quotidiano con i cittadini. «È vero che abbiamo il più alto numero di contagiati in provincia — spiega — ma sono focolai assai circoscritti e seguiti. Dieci casi sono all’interno di un unico nucleo familiare, tre casi in un altro e tre in un altro ancora. Poi abbiamo casi singoli tra ricoveri e quarantena. Confidiamo nella responsabilità dei cittadini perché si attengano scrupolosamente alle prescrizioni ma è chiaro che se dovesse degenerare la situazione nel carcere sarebbe tutto molto più difficile».
Da lunedì scorso, intanto, all’interno dei padiglioni del penitenziario sono state allestite salette in cui i detenuti possono fruire di linee telefoniche per restare in contatto con i loro difensori. Una richiesta avanzata proprio dagli avvocati penalisti. «È stato il frutto di una interlocuzione avviata una settimana prima con la direzione — ha commentato il presidente della Camera penale, Francesco Petrillo —. In questo modo, pur non varcando quei cancelli, riusciamo a tenerci in contatto con i reclusi e ad offrire una parola di conforto ai loro familiari che chiedono notizie dei congiunti non potendo più incontrarli». Per Petrillo, inoltre, le disposizioni normative per svuotare parzialmente le carceri (fuori i detenuti che devono scontare solo gli ultimi 18 mesi) «avranno un impatto zero: si tratta di cifre irrisorie». «La soluzione — ha concluso — sarebbe quella della concessione di un indulto ma non certo per killer e capiclan. Vanno ovviamente selezionati i reati di minore allarme sociale».
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Il sindaco Mirra Se dovesse allargarsi il fenomeno la situazione diverrebbe preoccupante e non più controllabile
L’avvocato Petrillo
Per noi la soluzione sarebbe quella di un indulto ma solo per determinati reati
Minieri (Radicali)
È necessario conoscere le azioni adottate a tutela dei detenuti e di chi entri in contatto con loro