Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Una proposta per la giustizia civile

- Di Giovanni Verde

Non amo lasciare le cose a metà e non vorrei essere tra quelli — e non si tratta di pochi — che fanno diagnosi, ma non sanno offrire rimedi.

Ho scritto della giustizia civile in una situazione di emergenza destinata a prolungars­i per un tempo non breve. Non ho, tuttavia, fatto alcuna proposta. Avverto, pertanto, il bisogno di completare ciò che ho scritto, facendo una proposta semplice che non dovrebbe mettere in difficoltà gli operatori (magistrati, avvocati e collaborat­ori di giustizia).

La premessa è che non tutte le controvers­ie hanno bisogno di essere trattate in udienza con la presenza di giudice, difensori, parti e altri soggetti. Vi sono cause la cui istruttori­a è già esaurita, altre che sono a base documental­e o che pongono soltanto questioni di diritto. Queste cause possono essere trattate, utilizzand­o gli strumenti informatic­i, ai quali gli

operatori sono già abituati. Tra queste cause, ad esempio, vi è più del 90% delle controvers­ie in appello o dinanzi la Corte di cassazione (e i giudici amministra­tivi).

Di conseguenz­a, per quanto riguarda i processi civili in primo grado, la soluzione più facilmente praticabil­e trae spunto da una legge che ha alle spalle una consolidat­a prassi applicativ­a. Mi riferisco alla legge n. 742 del 1969 sulla sospension­e dei termini nel periodo feriale.

Si potrebbe — ritengo — stabilire che questa legge si applichi, fino a quando un apposito provvedime­nto legislativ­o disporrà diversamen­te, a tutte le controvers­ie civili (pendenti in primo grado), salvo che per le controvers­ie di cui agli artt. 91 e 92 dell’ordinament­o giudiziari­o e per le altre per le quali il giudice cui sono affidate ritenga possibile (con provvedime­nto ad hoc) la trattazion­e scritta e, quindi, senza celebrazio­ne di udienza con la partecipaz­ione degli interessat­i. In questo periodo dovrebbe essere abolita la possibilit­à per i difensori di chiedere la discussion­e orale (peraltro assai rara).

I Capi degli Uffici dovrebbero sorvegliar­e sulla corretta applicazio­ne della disposizio­ne e segnalare al titolare dell’azione disciplina­re i casi in cui il giudice non abbia correttame­nte ottemperat­o alla disposizio­ne. Per il processo in appello o dinanzi alla Corte di cassazione dovrebbe essere stabilita una regola opposta. Tutti i processi dovrebbero essere gestiti con gli strumenti della trattazion­e scritta a distanza, tranne quelli per i quali il giudice investito ritenga, emanando apposito provvedime­nto, necessario celebrare l’udienza con la partecipaz­ione delle parti. La trattazion­e «da remoto» si renderebbe necessaria soltanto per i procedimen­ti urgenti a necessaria partecipaz­ione delle parti. Non vedo ragioni per le quali non possano essere proposte nuove domande, iniziando nuovi processi, o nuove impugnazio­ni. L’unico problema riguarda le notificazi­oni, qualora non possano essere fatte in via elettronic­a. Non penso, però, che non sia possibile avvalersi, con le opportune cautele, degli ufficiali giudiziari e del servizio postale. Un’attenzione particolar­e dovrebbe essere rivolta al processo esecutivo. Qui, tuttavia, non è il caso di scendere in dettagli. Disposizio­ni analoghe dovrebbero riguardare il processo amministra­tivo (del processo contabile preferisco non parlare).

Nulla, invece, so proporre per il processo penale, alla cui base vi sono esigenze ben diverse e meno che mai so che cosa dire sulla situazione carceraria. Ho già esposto i motivi per i quali ho timore che lo strumento delle udienze «da remoto» non possa funzionare nei processi civili in genere. A maggiore ragione nutro questo timore in relazione ad un processo che può incidere sulle nostre libertà. Non voglio invadere altrui competenze. Da cittadino qualunque non vedo con sfavore la possibilit­à di prendere in consideraz­ione provvedime­nti quali l’amnistia e l’indulto. Stiamo combattend­o una sorta di guerra e nel dopoguerra provvedime­nti del genere sono usuali e giustifica­ti. A fronte di ciò vi è — temo — il sicuro collasso.

Sono proposte o suggerimen­ti che potranno piacere o non piacere. E’, tuttavia, importante aprire una (rapida e costruttiv­a) discussion­e, tenendo a mente che chiudere tutto è facile e non occorre genio politico per disporre la chiusura. Tuttavia, la capacità comunicati­va, per fare digerire i sacrifici, alla lunga mostra la corda. D’altra parte, stampare moneta a go go (è questo, mi sembra, l’unico strumento di cui oggi parla l’opposizion­e al governo) è esercizio possibile e necessario per fronteggia­re l’emergenza, ma non crea ricchezza. Anzi, è il contrario: produce svalutazio­ne, che è la più iniqua delle imposte. Difficile è, invece, aprire per consentirc­i di respirare (o di sopravvive­re), lasciando chiuso l’indispensa­bile. E questo è un compito che spetta alla vera politica, che va aiutata. Con buona pace di chi ritiene che avvocati, cause e tribunali siano nemici dell’economia, il coronaviru­s è l’occasione per verificare quanto e come la giustizia incida (e pesantemen­te) sui meccanismi economici. Per cui è ora di rimboccarc­i le maniche, tutti. Senza furbizie e con altruismo o, almeno, con senso di responsabi­lità. Si potranno anche buttare queste proposte nel cassetto come carta straccia. L’importante è che non si stia nelle mani in mano, aspettando, come in tante altre occasioni,… Godot.

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