Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Una proposta per la giustizia civile
Non amo lasciare le cose a metà e non vorrei essere tra quelli — e non si tratta di pochi — che fanno diagnosi, ma non sanno offrire rimedi.
Ho scritto della giustizia civile in una situazione di emergenza destinata a prolungarsi per un tempo non breve. Non ho, tuttavia, fatto alcuna proposta. Avverto, pertanto, il bisogno di completare ciò che ho scritto, facendo una proposta semplice che non dovrebbe mettere in difficoltà gli operatori (magistrati, avvocati e collaboratori di giustizia).
La premessa è che non tutte le controversie hanno bisogno di essere trattate in udienza con la presenza di giudice, difensori, parti e altri soggetti. Vi sono cause la cui istruttoria è già esaurita, altre che sono a base documentale o che pongono soltanto questioni di diritto. Queste cause possono essere trattate, utilizzando gli strumenti informatici, ai quali gli
operatori sono già abituati. Tra queste cause, ad esempio, vi è più del 90% delle controversie in appello o dinanzi la Corte di cassazione (e i giudici amministrativi).
Di conseguenza, per quanto riguarda i processi civili in primo grado, la soluzione più facilmente praticabile trae spunto da una legge che ha alle spalle una consolidata prassi applicativa. Mi riferisco alla legge n. 742 del 1969 sulla sospensione dei termini nel periodo feriale.
Si potrebbe — ritengo — stabilire che questa legge si applichi, fino a quando un apposito provvedimento legislativo disporrà diversamente, a tutte le controversie civili (pendenti in primo grado), salvo che per le controversie di cui agli artt. 91 e 92 dell’ordinamento giudiziario e per le altre per le quali il giudice cui sono affidate ritenga possibile (con provvedimento ad hoc) la trattazione scritta e, quindi, senza celebrazione di udienza con la partecipazione degli interessati. In questo periodo dovrebbe essere abolita la possibilità per i difensori di chiedere la discussione orale (peraltro assai rara).
I Capi degli Uffici dovrebbero sorvegliare sulla corretta applicazione della disposizione e segnalare al titolare dell’azione disciplinare i casi in cui il giudice non abbia correttamente ottemperato alla disposizione. Per il processo in appello o dinanzi alla Corte di cassazione dovrebbe essere stabilita una regola opposta. Tutti i processi dovrebbero essere gestiti con gli strumenti della trattazione scritta a distanza, tranne quelli per i quali il giudice investito ritenga, emanando apposito provvedimento, necessario celebrare l’udienza con la partecipazione delle parti. La trattazione «da remoto» si renderebbe necessaria soltanto per i procedimenti urgenti a necessaria partecipazione delle parti. Non vedo ragioni per le quali non possano essere proposte nuove domande, iniziando nuovi processi, o nuove impugnazioni. L’unico problema riguarda le notificazioni, qualora non possano essere fatte in via elettronica. Non penso, però, che non sia possibile avvalersi, con le opportune cautele, degli ufficiali giudiziari e del servizio postale. Un’attenzione particolare dovrebbe essere rivolta al processo esecutivo. Qui, tuttavia, non è il caso di scendere in dettagli. Disposizioni analoghe dovrebbero riguardare il processo amministrativo (del processo contabile preferisco non parlare).
Nulla, invece, so proporre per il processo penale, alla cui base vi sono esigenze ben diverse e meno che mai so che cosa dire sulla situazione carceraria. Ho già esposto i motivi per i quali ho timore che lo strumento delle udienze «da remoto» non possa funzionare nei processi civili in genere. A maggiore ragione nutro questo timore in relazione ad un processo che può incidere sulle nostre libertà. Non voglio invadere altrui competenze. Da cittadino qualunque non vedo con sfavore la possibilità di prendere in considerazione provvedimenti quali l’amnistia e l’indulto. Stiamo combattendo una sorta di guerra e nel dopoguerra provvedimenti del genere sono usuali e giustificati. A fronte di ciò vi è — temo — il sicuro collasso.
Sono proposte o suggerimenti che potranno piacere o non piacere. E’, tuttavia, importante aprire una (rapida e costruttiva) discussione, tenendo a mente che chiudere tutto è facile e non occorre genio politico per disporre la chiusura. Tuttavia, la capacità comunicativa, per fare digerire i sacrifici, alla lunga mostra la corda. D’altra parte, stampare moneta a go go (è questo, mi sembra, l’unico strumento di cui oggi parla l’opposizione al governo) è esercizio possibile e necessario per fronteggiare l’emergenza, ma non crea ricchezza. Anzi, è il contrario: produce svalutazione, che è la più iniqua delle imposte. Difficile è, invece, aprire per consentirci di respirare (o di sopravvivere), lasciando chiuso l’indispensabile. E questo è un compito che spetta alla vera politica, che va aiutata. Con buona pace di chi ritiene che avvocati, cause e tribunali siano nemici dell’economia, il coronavirus è l’occasione per verificare quanto e come la giustizia incida (e pesantemente) sui meccanismi economici. Per cui è ora di rimboccarci le maniche, tutti. Senza furbizie e con altruismo o, almeno, con senso di responsabilità. Si potranno anche buttare queste proposte nel cassetto come carta straccia. L’importante è che non si stia nelle mani in mano, aspettando, come in tante altre occasioni,… Godot.