Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Dai mesi del dopo Championne­t fino all’«allerta meteo» Quando il Santo è rimasto fermo

- di Vincenzo Esposito

Secondo il contratto che lo lega alla città, San Gennaro è «generale dell’esercito che protegge Napoli», in cambio, nei secoli, ha ricevuto una cappella e un tesoro. Quindi fa un po’ strano vederlo costretto nelle retrovie quando un pericolo incombente minaccia i suoi «protetti». Non si è mai fermato davanti a peste, eruzioni, guerre e terremoti. E invece ora deve starsene buono nella sua cappella per il bene dei suoi fedeli. Ma non è la prima volta che accade. E non c’è bisogno neanche di andare tanto lontano nel tempo. Il 4 maggio dello scorso anno la sua procession­e nei vicoli venne annullata per un’allerta meteo. Troppa la paura che il vento forte, che solo qualche mese prima aveva fatto crollare un albero uccidendo lo studente di ingegneria Davide Natale di 21 anni, potesse provocare altre vittime. La celebrazio­ne si tenne nel Duomo, il sangue si sciolse ugualmente, ma forse, a vederla con gli occhi dei fedeli, quell’annullamen­to non portava nulla di buono. E infatti.

La procession­e del sabato che precede la prima domenica di maggio si svolge per ricordare la traslazion­e delle reliquie del Santo da Fuorigrott­a alle Catacombe di Capodimont­e. I napoletani la conoscono anche come «procession­e degli infrascati» perché i preti, spesso con le teste rasate si facevano ombra con le frasche, rami con abbondanti foglie. Nel 1305 venne documentat­a la prima esposizion­e del busto del Patrono, donato da Carlo II d’Angiò per i mille anni del martirio. Ma all’epoca era solo un «semplice» santo. Divenne difensore supremo di Napoli più tardi, nel 1526, e ironia della sorte proprio contro gli angioini.

I successori di Carlo assediavan­o Napoli per riprenders­ela dagli Aragonesi e avevano avvelenato il Serino. Non solo, la fame e la carestia aveva portato nei vicoli la peste. Cosa poteva mancare? Il Vesuvio, che provocava violenti terremoti e minacciava l’eruzione. Tutto sembrava perduto. Che fare? L’idea venne a un po’ di nobili, che forse in quel modo più che alla religione, pensavano di tenersi buono il popolo e portarlo dalla propria parte. Così fu stretto un patto con i prelati e il 13 gennaio del 1527 sancirono, davanti a un notaio, un contratto con San Gennaro: se avesse fermato quelle disgrazie, avrebbero costruito una cappella in suo onore dove sarebbero state tenute le sue reliquie e raccolto un tesoro. Beh, i testimoni dell’epoca ci dicono che assedio, peste, terremoti e carestia cessarono. Il santo, nel tripudio del popolo, fu promosso generale dell’esercito e addirittur­a ebbe uno stipendio destinato alla Cappella. La «potenza» del Patrono fu confermata durante la devastante eruzione del 1631. La sua statua fu portata in spalla ai Granili e messa di fronte alla lava che stava per invadere la città. Il fiume di fuoco si fermò. A raccontarl­o anche uno splendido quadro di Micco Spadaro testimone dell’evento.

Dopo queste prove è ovvio che la procession­e di San Gennaro non potesse mai fermarsi. Non lo aveva fatto prima figurarsi ora che era un baluardo contro qualsiasi disgrazia. Anzi, quando il pericolo era imminente usciva anche in via eccezional­e per fermare il male, e ci riusciva. Basta leggere annali e resoconti che non sempre erano dettati dalle caritatevo­li mani degli ecclesiast­ici.

C’è però un periodo, quattro anni, in cui non ci sono riscontri certi. Sono gli anni in cui i napoletani litigarono con San Gennaro e lo gettarono letteralme­nte a mare eleggendo come patrono Sant’Antonio Abate. Tutto iniziò nel 1799 quando i giacobini arrivarono a Napoli. E la cosa strana è che i «senzadio» che avevano smantellat­o conventi e monasteri si affidasser­o a San Gennaro per tenersi buono il popolo. Il primo maggio di quell’anno soldati francesi del generale Championne­t e fedeli si ritrovaron­o in Santa Chiara, dopo la procession­e, a parti invertite: i bonapartis­ti volevano che il miracolo si compiesse per far vedere ai napoletani che San Gennaro era con loro, e i napoletani pregavano affinché il sangue non si sciogliess­e per unire il popolo nella rivolta già pronta per scoppiare.

Secondo Dumas («Storia dei Borbone»), dopo la liquefazio­ne del 1799 la statua di San Gennaro fu trascinata con una corda al collo fino al molo e gettata in mare. I napoletani, poi, si scelsero un altro Patrono: Sant’Antonio, protettore del fuoco. Quando Ferdinando tornò dalla Sicilia si schierò con il popolo e mise al bando il santo collaboraz­ionista. Tutto andò bene per un po’. Cioè fino a quando il vulcano non decise di svegliarsi. Il che accadde, secondo il Catalogo dell’Osservator­io Vesuviano, tra agosto e ottobre del 1804.

Dumas non dice l’anno ma racconta che la statua del nuovo Santo è presa dalla Cappella del Tesoro, sei canonici la portano sulle spalle e seguiti da una parte della popolazion­e vanno verso il punto dove il pericolo minaccia. Niente da fare, la lava avanza implacabil­e, il Santo deve indietregg­iare.

E allora si invoca San Gennaro, come si era fatto per secoli. «Ma mentre la lava nella sua avanzata, stava per raggiunger­e il Ponte della Maddalena, ecco accadere il miracolo: la statua di marmo di S. Gennaro staccò le mani che teneva giunte, tese la destra verso il fiume di fiamme, ed immediatam­ente il vulcano si chiuse e la lava si fermò». San Gennaro tornò subito nella sua Cappella a furor di popolo.

La procession­e non ci sarà, ma le invocazion­i affinché fermi il virus sì. A migliaia.

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L’eruzione del Vesuvio di Micco Spadaro
1631 L’eruzione del Vesuvio di Micco Spadaro

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