Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nel Mezzogiorno il «lockdown» può costare fino a 15 punti di Pil
L’economia sommersa viene messa a dura prova Gli ammortizzatori sociali non sono sufficienti Al Banco alimentare richieste cresciute del 40%
La miseria uccide più dell’epidemia, recita uno striscione del Comitato Vele, esposto giorni fa a Scampia, per sollecitare il Reddito di quarantena. Nella città del caffè sospeso, in questi giorni si trovano, qua e là, piccoli sacchetti della spesa «sospesi», lasciati in dono, per le persone che ne hanno bisogno. Accanto all’emergenza sanitaria e prima di quella economica, sta scoppiando un vero e proprio dramma sociale, ancor più forte al Sud rispetto al Nord per motivi ben noti: mancanza di buona occupazione (troppo lavoro a termine, part time involontario, precariato occupazionale, false partite Iva), economia sommersa pur se non illegale, magari anche piccole attività illecite. Si discute, in vista del decreto di aprile, sull’opportunità di allargare le maglie del Reddito di cittadinanza per quanti non possono usufruire della cassa integrazione, riconducendo a una tutte le varie forme di sussidio create per fronteggiare l’emergenza coronavirus, purché si tratti di una misura congiunturale e non strutturale, non legandolo per forza di cose a un nuovo lavoro che oggi non c’è ma a servizi di pubblica utilità per i Comuni, a partire dalle diverse forme di volontariato.
L’economy street è una realtà diffusa e sparpagliata nel tessuto economico meridionale, campano e pugliese soprattutto. E oggi, mentre tutto è fermo per l’attuale lockdown del Paese, la gente fa la fame.
Le prospettive economiche a breve termine sono davvero preoccupanti: crollo del prodotto lordo stimato del 2020 -6% secondo Confindustria, -9% in base alle stime più pessimistiche, svariati punti in meno rispetto al magrissimo 0,2% del 2019. Un economista meridionale come Adriano Giannola ipotizza che, rispetto al 2007, l’Italia arretrerebbe di altri 3, forse 5 punti al Nord, e di altri 12, addirittura 15 punti al Sud. Il ministro per la Coesione Giuseppe Provenzano sta studiando con un pool di esperti un progetto, da portare al prossimo consiglio dei ministri, per l’immediata spesa entro fine 2020 di 9 miliardi non ancora impegnati nell’ambito dell’attuale programmazione europea, e che altrimenti si perderebbero inesorabilmente: l’80% di questa somma sarebbe destinata alle Regioni meridionali, e dovrebbe servire per assicurare in questi territori i più elementari diritti di cittadinanza che oggi non sono garantiti, sanità in primis, ma anche scuola, Università, assistenza agli anziani, asili per bimbi. Forse sarebbe il caso di destinarne una quota anche al Terzo Settore, che nel Mezzogiorno è penalizzato, ma che, tanto per citare il caso di Napoli, dà lavoro a migliaia di persone, in particolare nelle cooperative finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Il dramma sociale non riguarda il domani, ma già l’oggi. Dopo il decreto della Protezione Civile che ha distribuito 400 milioni a livello territoriale per aiutare i bisognosi a fare la spesa, la Campania ha ricevuto 50 milioni, la Puglia poco più di 33. Il Banco Alimentare Campania ha ricevuto il 40% delle richieste in più, mentre le mense della Caritas e della Comunità di Sant’Egidio distribuiscono non più pasti caldi ma sacchetti col cibo. Il Comune di Napoli può fare affidamento su 7 milioni 625 mila per far mangiare i più bisognosi, Bari su poco meno di 2 milioni. Una goccia nel mare delle necessità, ma è pur sempre qualcosa, soprattutto in una fase in cui, per le ristrettezze di bilancio degli enti locali, i servizi sociali municipali sono stati praticamente azzerati. La prima cosa da fare è far affluire risorse pubbliche, e auspicabilmente anche donazioni private, al Banco Alimentare per distribuire cibo a quanti non mettono insieme il pranzo con la cena. E per trovare un posto dove andare, dovendo rispettare le norme restrittive del governo, ai circa 2 mila senza tetto a Napoli, laddove i dormitori non possono ospitarne neanche 300. E a Bari, dove i senza fissa dimora sono stimati in 500, 550 persone, città nella quale sono oggi attive 17 strutture per accoglierli, pur del tutto insufficienti: per i pasti, il sindaco Decaro preferisce erogare contributi per l’acquisto di beni alimentari e di prima necessità sotto forma di voucher per la spesa.
Le buste con il cibo lasciate in dono sono un segnale allarmante