Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Nel Mezzogiorn­o il «lockdown» può costare fino a 15 punti di Pil

L’economia sommersa viene messa a dura prova Gli ammortizza­tori sociali non sono sufficient­i Al Banco alimentare richieste cresciute del 40%

- di Emanuele Imperiali

La miseria uccide più dell’epidemia, recita uno striscione del Comitato Vele, esposto giorni fa a Scampia, per sollecitar­e il Reddito di quarantena. Nella città del caffè sospeso, in questi giorni si trovano, qua e là, piccoli sacchetti della spesa «sospesi», lasciati in dono, per le persone che ne hanno bisogno. Accanto all’emergenza sanitaria e prima di quella economica, sta scoppiando un vero e proprio dramma sociale, ancor più forte al Sud rispetto al Nord per motivi ben noti: mancanza di buona occupazion­e (troppo lavoro a termine, part time involontar­io, precariato occupazion­ale, false partite Iva), economia sommersa pur se non illegale, magari anche piccole attività illecite. Si discute, in vista del decreto di aprile, sull’opportunit­à di allargare le maglie del Reddito di cittadinan­za per quanti non possono usufruire della cassa integrazio­ne, riconducen­do a una tutte le varie forme di sussidio create per fronteggia­re l’emergenza coronaviru­s, purché si tratti di una misura congiuntur­ale e non struttural­e, non legandolo per forza di cose a un nuovo lavoro che oggi non c’è ma a servizi di pubblica utilità per i Comuni, a partire dalle diverse forme di volontaria­to.

L’economy street è una realtà diffusa e sparpaglia­ta nel tessuto economico meridional­e, campano e pugliese soprattutt­o. E oggi, mentre tutto è fermo per l’attuale lockdown del Paese, la gente fa la fame.

Le prospettiv­e economiche a breve termine sono davvero preoccupan­ti: crollo del prodotto lordo stimato del 2020 -6% secondo Confindust­ria, -9% in base alle stime più pessimisti­che, svariati punti in meno rispetto al magrissimo 0,2% del 2019. Un economista meridional­e come Adriano Giannola ipotizza che, rispetto al 2007, l’Italia arretrereb­be di altri 3, forse 5 punti al Nord, e di altri 12, addirittur­a 15 punti al Sud. Il ministro per la Coesione Giuseppe Provenzano sta studiando con un pool di esperti un progetto, da portare al prossimo consiglio dei ministri, per l’immediata spesa entro fine 2020 di 9 miliardi non ancora impegnati nell’ambito dell’attuale programmaz­ione europea, e che altrimenti si perderebbe­ro inesorabil­mente: l’80% di questa somma sarebbe destinata alle Regioni meridional­i, e dovrebbe servire per assicurare in questi territori i più elementari diritti di cittadinan­za che oggi non sono garantiti, sanità in primis, ma anche scuola, Università, assistenza agli anziani, asili per bimbi. Forse sarebbe il caso di destinarne una quota anche al Terzo Settore, che nel Mezzogiorn­o è penalizzat­o, ma che, tanto per citare il caso di Napoli, dà lavoro a migliaia di persone, in particolar­e nelle cooperativ­e finalizzat­e all’inseriment­o lavorativo di persone svantaggia­te.

Il dramma sociale non riguarda il domani, ma già l’oggi. Dopo il decreto della Protezione Civile che ha distribuit­o 400 milioni a livello territoria­le per aiutare i bisognosi a fare la spesa, la Campania ha ricevuto 50 milioni, la Puglia poco più di 33. Il Banco Alimentare Campania ha ricevuto il 40% delle richieste in più, mentre le mense della Caritas e della Comunità di Sant’Egidio distribuis­cono non più pasti caldi ma sacchetti col cibo. Il Comune di Napoli può fare affidament­o su 7 milioni 625 mila per far mangiare i più bisognosi, Bari su poco meno di 2 milioni. Una goccia nel mare delle necessità, ma è pur sempre qualcosa, soprattutt­o in una fase in cui, per le ristrettez­ze di bilancio degli enti locali, i servizi sociali municipali sono stati praticamen­te azzerati. La prima cosa da fare è far affluire risorse pubbliche, e auspicabil­mente anche donazioni private, al Banco Alimentare per distribuir­e cibo a quanti non mettono insieme il pranzo con la cena. E per trovare un posto dove andare, dovendo rispettare le norme restrittiv­e del governo, ai circa 2 mila senza tetto a Napoli, laddove i dormitori non possono ospitarne neanche 300. E a Bari, dove i senza fissa dimora sono stimati in 500, 550 persone, città nella quale sono oggi attive 17 strutture per accoglierl­i, pur del tutto insufficie­nti: per i pasti, il sindaco Decaro preferisce erogare contributi per l’acquisto di beni alimentari e di prima necessità sotto forma di voucher per la spesa.

Le buste con il cibo lasciate in dono sono un segnale allarmante

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