Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PIÙ FONDI PUBBLICI PER LA RINASCITA
Proviamo a pensare al dopo partendo dall’esperienza di queste settimane. Lo so, è difficile, immersi in una realtà che purtroppo, soprattutto in alcune regioni d’Italia, è drammatica. E qui vorrei dire come sono sterili alcune contrapposizioni territoriali che ancora attraversano il Paese. Discussioni stucchevoli: siamo tutti Italiani! Ciò che accade in altre zone d’Italia colpisce e addolora: come si fa a riproporre con toni rivendicativi il solito stereotipo «se fosse accaduto a Napoli, se fosse accaduto nel Mezzogiorno chissà cosa avrebbero detto» di fronte a quanto sta succedendo a Bergamo e a Brescia? O spiegazioni «razziali» sul diverso grado di diffusione dell’epidemia nel Paese? C’ è invece bisogno di alzare lo sguardo e capire che cosa si può trarre dalla triste esperienza in cui tutti siamo coinvolti.
Un aspetto è inconfutabile: l’assoluta rilevanza delle relazioni umane e della cura della persona. Si parla di ricostruzione da attuare con una massiccia dose di investimenti pubblici. Dopo le prime avventate dichiarazioni (certo nel dopo si dovrà fare una riflessione su chi ha la responsabilità della governance economica e politica a livello internazionale), la Banca Centrale Europea ha varato un importante piano di aiuti. La grande dose di liquidità che sarà immessa consente finalmente di rompere la camicia di forza in cui per troppo tempo siamo stati prigionieri. Vi sarà la possibilità per l’Italia di attuare un programma di ammodernamento del Paese. È fondamentale, dunque, muoversi nella logica dello sviluppo, in cui hanno centralità servizi e beni a sostegno della collettività. Potrà essere l’occasione per il Mezzogiorno di rafforzare le strutture sociali in forte ritardo. Infatti, in questi giorni è palese la discrepanza fra professionalità mediche di indubbia competenza (nonostante la sanità meridionale sia stata ampiamente coinvolta dalla «fuga dei cervelli») e l’inadeguata rete di ospedali e reparti specializzati in cui mettere a frutto queste eccellenze.
Allarmante è poi la carenza delle autoambulanze, che determina insopportabili tempi di attesa. Come pure si constata la mancanza di servizi territoriali per assistere (mai come in questo caso il termine è appropriato) la popolazione, che divenendo più anziana e sola necessita di essere assiduamente monitorata.
Se poi si tiene conto del senso di responsabilità cui le pubbliche autorità si appellano continuamente, va curata l’istruzione scolastica, dove coltivare la cittadinanza come appartenenza alla comunità.
Infine, la centralità delle competenze è evidente: allora perché non fare un consistente investimento per favorire l’accesso all’università e limitare al massimo il numero chiuso? I medici che in questi giorni lottano per salvare tante persone sono figli di un’università di massa e non elitaria.
Ricorrono quest’anno i settanta anni della Cassa per il Mezzogiorno: un’esperienza che divenne controversa quando si realizzò il passaggio dalla costruzione di infrastrutture civili e sociali alla realizzazione delle «cattedrali nel deserto».
Il passato non ritorna, ma è bene non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Che vi sia bisogno dello Stato è innegabile: solo una sanità pubblica può assicurare servizi fondamentali per la sopravvivenza di un gran numero di persone. E oggi appaiono del tutto insensate critiche su un’eccesiva presenza del pubblico. Ma la centralità dello Stato, a ogni livello, richiede una classe dirigente all’altezza dei compiti da affrontare. In tal senso questi giorni sono un decisivo banco di prova per valutare, per chi amministra e per chi è all’opposizione, se davvero si hanno competenze e passione nel tutelare il bene comune.
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L’altra faccia della medaglia Ma la centralità dello Stato, a ogni livello, richiede una classe dirigente che sia all’altezza dei compiti da affrontare