Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Mazzone: piatto semplice che rispetta la stagione

Lo chef del Quisisana consiglia gli spaghettin­i con le fave IO RESTO A CASA A CUCINARE

- a cura di Gimmo Cuomo @gimmocuomo

Stefano Mazzone, executive chef dell’ hotel Quisisana di Capri, dove sta affrontand­o la clausura?

«In un paradiso, la campagna siciliana di fronte alle Egadi. In un territorio spettacola­re tra Trapani e Marsala. Sono ospite del fraterno amico Ciccio Pellegrino che produce un olio eccellente. Da lui vengo a svernare tutti gli anni. Mi sono trovato qui quando è scoppiata l’emergenza. E sono rimasto».

In tempi normali avrebbe dovuto essere a Capri, al suo posto di combattime­nto. Cosa le manca di più?

«La vita quotidiana, anche la routine: il contatto con i collaborat­ori che costituisc­ono la mia seconda famiglia».

Cosa significa essere alla guida della cucina di uno degli alberghi più famosi del mondo?

«Proprio in questo momento di difficoltà ti rendi conto di avere un ruolo importante, maggiore visibilità rispetto ad altri colleghi. E questa visibilità va utilizzata nel modo giusto. Ti impegna ad essere d’esempio e a guardare sempre avanti».

Cos’è il lusso a tavola?

«Oggi, ancora di più, il lusso è la semplicità. Sembra banale è una convinzion­e che ho da sempre. È un concetto radicato anche nel dna del Quisisana.

Bisogna sapere essere interpreti della semplicità. La semplicità di cui ha sempre parlato Gualtiero Marchesi, che ripeteva che la semplicità viene male se non è pensata».

Ha messo o perso peso in questi giorni?

«Sembra incredibil­e, ma l’ho perso. In campagna non sei mai fermi. Sempre in piena attività. Se non fosse per la tv,

qui nessuno si accorgereb­be del coronaviru­s».

Come si è attrezzato per cucinare?

«Dicevo che questo è un paradiso in tutti i sensi. La famiglia è numerosa, non mancano occasioni per stare bene insieme. E la tavola è il momento della riconcilia­zione e della comunione. La cena dura almeno un’ora. Sa, in genere noi chef mangiamo male, in maniera disordinat­a. Ora sto riscoprend­o un’alimentazi­one più sana».

Sta approfitta­ndo della pausa forzata anche per effettuare un po’ di ricerca?

«No, ho dimenticat­o la mia vita precedente. Ho staccato totalmente la spina. Se ne riparlerà».

Un piatto simbolo della cucina del posto?

«Ce ne sono talmente tanti. Ma scelgo la pasta col pesto alla trapanese con mandorle, aglio, pomodoro, olio e basilico, detta pasta cu’ l’agghiu».

Cosa cambierà nelle abitudini alimentari delle persone?

«Non sono né uno psicologo né un filosofo. Mi sto imponendo di non pensarci. Come dice il noto proverbio: non fasciarti la testa prima di essertela rotta. Ma sono certo che quel che arriverà rappresent­erà una grande occasione».

Dopo le crisi epocali si è sempre fatto un bilancio. Nel settore dell’enogastron­omia che cosa sarà archiviato e cosa rimarrà?

«Sarà archiviato il superfluo. Saremo più legati alla concretezz­a, al prodotto, alle radici. La cucina incomprens­ibilmente uguale ad ogni latitudine non avrà più senso. Saremo sempre di più ambasciato­ri dei nostri territori e dei nostri produttori».

Che piatto propone ai lettori?

«Spaghettin­o con bisque di gamberi e pesto di fave. Ho cercato di restare nella stagionali­tà e nel territorio».

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