Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Gioire per una... «bufala»
Sono sempre stato uno dei principali sostenitori della chiusura, dell’isolamento (per quanto doloroso) e del distanziamento sociale.
L’ho iniziato a dire tra gli sguardi attoniti dei miei amici alla fine di febbraio, quando tutti mi prendevano per pazzo perché non volevo abbracciarli, stringergli le mani, stare uno addosso all’altro a una festa.
Ieri sono uscito, ho dovuto fare una cosa importante di lavoro e poi sono passato in salumeria a prendere un po’ di mozzarella, fiordilatte, olive. Prodotti freschi. Ne sentivo il bisogno fisico, di quelle piccole gioie quotidiane che noi italiani — specie noi del sud, perché da queste parti ne produciamo di eccellenze — siamo abituati ad avere in tavolo ogni giorno (e non dimentichiamocene mai, per favore). Salumeria deserta, ora di pranzo. Mi avvicino al banco con i formaggi e gli insaccati e chiedo al tipo se fosse rimasta della mozzarella. «Niente di meno, quanta ne vuoi!», esclama lui. Chi è di Napoli sa bene quanto rischi, arrivando dopo le tredici, di trovare finita la mozzarella fresca in una salumeria. «Di bufala?», mi chiede, il salumiere. Domanda retorica, dico di sì. Poi chiedo il fiordilatte. «Di Agerola?». Altra domanda retorica, che però è stata bellissima da ricevere. Prendo pure le olive, di Gaeta. Pago ed esco. Bardato nei guanti e la mascherina, l’aria calda è irrespirabile. E mentre mi domando come faremo, con l’estate alle porte, a respirare dentro quei fazzoletti che ci stringono il viso, il mio pensiero si sofferma sulle parole quotidiane che non dobbiamo dimenticare.
Agerola, bufala, Gaeta. Varietà e provenienze di alcune delle cose più buone da mangiare sulla faccia della Terra. Prodotti che ci hanno sfamato e cresciuti fin da quando eravamo bambini. Ho sostenuto e sostengo, ancora, le distanze. Però comprarmi la mozzarella dal vivo è stato fantastico.