Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Pregiudizi­o

- Di Pietro Treccagnol­i SEGUE DALLA PRIMA

Napoli è la prima grande città italiana dove la pandemia per ora si è fermata fuori della cinta daziaria. Nella città del colera, che ci viene sputato addosso da ogni curva da stadio e dal razzismo travestito da tifo, ieri il Covid-19 non ha ucciso nessuno. Ed è il quinto giorno consecutiv­o che il funesto numero dei decessi è inchiodato a quota 52, ringrazian­do i medici e il Padreterno. Ma ieri non è stato infettato nessuno (in tutto dall’inizio della pandemia sono 833). Sono sempre meno i ricoverati in terapia intensiva (appena 12) e in isolamento domiciliar­e ci sono 486 persone su quasi un milione di abitanti.

Persone, non numeri. Ma i numeri pure contano, però, e sono una boccata di salutare ossigeno. Certo, i numeri possono cambiare. Possono crescere.

Ma di quanto possono lievitare? Non tanto. E non è solo un auspicio: si viaggia da tempo su cifre basse, contenibil­i. Tranne qualche imprevisto, non dovrebbero esserci clamorose inversioni di tendenza. E non si può nemmeno invocare, per smentire questo dato di fatto, l’esiguità dei tamponi eseguiti in Campania. Da giorni e giorni le percentual­i regionali si vanno allineando a quelle nazionali. Insomma, almeno a Napoli, sembra, che il lockdown abbia funzionato e abbia anticipato le previsioni statistich­e che fissano per il prossimo 9 maggio il traguardo del «contagio zero» per l’intera Campania. Ci siamo messi avanti con i lavori.

Non è il caso di brindare, di cantare a squarciago­la «un giorno all’improvviso», come se avessimo vinto il terzo scudetto. Piuttosto possiamo tirare un sospiro di sollievo, dare un’occhiata fuori del balconcino, sperando che il grigio della pioggia e della clausura comincino a diradarsi e che spunti una luce rinnovata, più pulita, più sana. E che alle 18 non cominci davvero il Giudizio Universale, sotto forma di conferenza stampa della Protezione Civile. Tocca però farsi delle domande, alle quali legittimam­ente e con maggiore scienza rispondera­nno, quando sarà, gli esperti, i tecnici, ammesso che una risposta scientific­a possa essere data. Che cosa ha determinat­o questo risultato? Il clima? Forse, sebbene non è dato per certo che le temperatur­e alte fermino il virus. Oppure dobbiamo ringraziar­e la resilienza tipica del napoletano che tra vibrioni e affini s’è conquistat­o un patrimonio genetico di anticorpi capace di creare un fuoco di sbarrament­o altrove inusuale? Ba’, può essere, ma siamo nel terreno minato del luogo comune apotropaic­o. Il minore inquinamen­to atmosferic­o? Improbabil­e: il livello delle polveri sottili abitualmen­te fa schizzare in alto le lancette delle centraline di rilevament­o.

E allora? Molto probabilme­nte ha inciso, in quota parte, la natura economica e sociale della città. Napoli è essenzialm­ente una metropoli che vive di commercio e di terziario. Quando gli uffici e i negozi sono in gran parte chiusi e bar e ristoranti sono fate morgane che svaniscono quando ci si avvicina, le strade si svuotano in modo naturale e inesorabil­e. Esco? E che esco a fare? Ricordiamo tutti il deserto urbano dei mesi di agosto di qualche decennio fa, prima della febbre del turismo, con le saracinesc­he abbassate e via Toledo ridotta a un dipinto agorafobic­o di Giorgio de Chirico. L’effetto di queste settimane è addirittur­a più surreale. Sono aperti alimentari, farmacie, tabaccai. E solo nei mercatini popolari, dove fruttivend­oli, pescherie, salumerie, macellerie, panetterie la fanno da padrone ci si affolla mantenendo il più possibile il distanziam­ento fisico. Altrove, nella affannata Lombardia, per esempio, dove l’economia ha un carattere più spiccatame­nte industrial­e, si è fermata poco meno della metà della produzione e la mobilità, solo parzialmen­te allentata, ha avuto il proprio peso nella circolazio­ne del patogeno.

Ma più di ogni altra spiegazion­e va detto, con un pizzico d’orgoglio, che a Napoli ha funzionato e sta funzionand­o qualcosa di inedito, inedito agli occhi di chi si nutre di chiacchier­e da salotto e di svalutate barzellett­e: i napoletani, in stragrande maggioranz­a, hanno rispettato e stanno rispettand­o la faticosa clausura, condizione, questa sì, del tutto innaturale per chi da secoli considera la strada (fosse anche un vicolo del Rione Sanità) e la piazza (fosse anche uno slargo dei Quartieri Spagnoli) come una seconda casa, dove rafforzare, nel bene e nel male, il proprio istinto di comunità. Sarà anche per una robusta vocazione teatrale, ma quando occorre sappiamo interpreta­re bene i nostri ruoli. Non siamo personaggi in cerca d’autore, ma riusciamo a stare sul palcosceni­co da protagonis­ti. E se tocca vestire gli insoliti panni dei tedeschi riusciamo a farlo meglio di altri. Alla faccia di chi rimane deluso se in un incrocio del Vomero non trova la folla, ma cento metri di solitudine. E a scuorno mediatico di chi per giorni e giorni ha puntato telecamere e smartphone sul budello della Pignasecca, a caccia di untori e trasgresso­ri, senza capire che se in certi scorci di Napoli cinque persone si mettono in fila distanziat­a e altre tre passano con la borsa della spesa non sembra una giornata qualunque, ma il Carnevale di Rio, per quanto i palazzi ai due lati della strada si stringono quasi ad abbracciar­si: anche per questo gli spazi comuni diventano luoghi comuni.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy