Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Corsicato: la mia Laura come una Filumena 2.0
Da giovedì su Rai 1 va in onda «Vivi e lascia vivere», prima fiction del regista «Ho voluto raccontare un personaggio complesso, volitivo, fragile e scaltro In una Napoli che è un inno alla solidarietà, all’amicizia, alla gioia e alla vita»
«Ho pensato subito a una Filumena contemporanea immaginando la mia protagonista, volitiva e fragile, passionale, scaltra, in cerca di riscatto». Così Pappi Corsicato tratteggia la sua Laura, protagonista della serie tv «Vivi e lascia vivere», in onda per sei puntate, ognuna di due episodi, da giovedì 23, in prima serata su Rai 1. La trama vede protagonista appunto Laura, interpretata da un’intensa Elena Sofia Ricci, che perde lavoro e marito e deve ricominciare da capo. Si rimbocca le maniche e rinasce, facendo gruppo con altre donne. Una storia di speranza di una nuova vita, che, in tempi di coronavirus sembra quanto mai attuale, tutta girata a Napoli, con sullo sfondo quella Posillipo tanto cara al regista napoletano, un quartiere non solo da sogno, ma anche e soprattutto popolare.
La sua prima regia televisiva.
«Sì, una storia in parte ispirata a Filumena, ma solo per quel che riguarda la sua personalità e non la storia. Ho trasposto nel linguaggio televisivo, da fiction, la mia narrazione del mondo femminile. Con al centro un personaggio complesso, di cuore ma senza scrupoli».
Una Filumena 2.0, anche se la voglia di riscatto e l’arte di arrangiarsi sono da sempre esistite qui in Campania.
«Ho voluto rendere sì l’idea di riscatto,ma anche quella delbastardi l’amicizia, della famiglia e del dolore, dove tutti si mettono in discussione, pronti per rinascere».
Che effetto le fa rivedere le immagini del film, vivaci, con tanta partecipazione umana, ora che le strade sono vuote?
«È l’effetto che volevo trasmettere. Secondo me questa fiction, ancor di più oggi, trasmette un messaggio di vitalità e di speranza. È in momenti di crisi come questo, dopo il naturale sbandamento per il panico, che si vede oltre, magari cercando di fare ciò che non si faceva prima, cambiando vita, insomma, e facendo emergere il talento».
In tempi di coronavirus anche la tv è in gran spolvero, proprio con le fiction. Ma non era considerato un genere di serie B rispetto al grande cinema?
«Non sono d’accordo, al di là del fatto che la serialità televisiva si è molto evoluta negli ultimi vent’anni, in Italia abbiamo fatto sempre prodotti di grande livello (mi ricordo gli sceneggiati degli anni ‘60 e ‘70). Poi, ognuno di noi porta con sé il proprio gusto, l’estetica, l‘esperienza, la cultura, la provenienza e la condivide».
Quale Napoli racconta, quindi, in «Vivi e lascia vivere»? La classica città da fiction?
«No. Pur avendo apprezzato molto serie come Gomorra e I di Pizzofalcone, ho voluto raccontare non il centro e le periferie, ma la mia Posillipo, quella colorata della case normali popolate di lavoratori, dei paesaggi meravigliosi, del mare, del verde, delle cave di tufo, dei pescatori».
Nel cast, oltre alla Ricci, Massimo Ghini, Antonio Gerardi e Orsetta De Rossi, a dare un tocco di autenticità napoletana ci sono Teresa Saponangelo, Bianca Nappi e Iaia Forte, una delle sue storiche muse.
«Oltre a Iaia (nel film la cognata di Laura, con cui aveva litigato), Teresa (una complessa e misteriosa ragazza del popolo) e Bianca, che interpretano tutte dei personaggi intensi, c’è poi un gruppo di attori giovanissimi di talento. Napoletanità? No, come ho detto prima, non la cerco (almeno non quella oleografica, in dialetto) ma guardo al senso dei personaggi con uno sguardo innamorato verso l’ambiente».
Beh, però non mi dica che almeno non è stato facilitato anche dai luoghi di quella «CineNapoli», da tempo ridiventata set a cielo aperto.
«Napoli è sempre stato un brand per il cinema e non ha mai smesso di esserlo. Quando abbiamo girato, poi, sembrava di essere a Cannes, a Rio. Ho cercato quindi di rendere l’atmosfera di una Napoli d’amore, solare, solidale, struggente. Che solo a vederla faccia pensare a un inno alla bellezza, alla solidarietà, alla condivisione, alla gioia, all’amicizia, alla speranza che tutto si riapra alla vita questo delirio finisca presto»