Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Viaggio al termine del... Coronaviru­s Da prof cosmopolit­a a persona anziana

- di Mariella Pandolfi

La mia generazion­e si è considerat­a libera e liberata: dalla rivoluzion­e sessuale al femminismo, fino al sogno, spesso realizzato, di essere cittadini del mondo. Una generazion­e fortunata di certo, ma impreparat­a al risveglio brusco del mutamento identitari­o da «soggetto nomade», come ricorda il bel libro di Rosi Braidotti, a «soggetto anziano».

Negli ultimi due mesi il trauma del virus, del contagio, del rischio, delle regole legate al controllo dei corpi, corpi da salvare per poter lasciar morire, se mi è concesso di parafrasar­e Michel Foucault, ha cancellato l’illusione di poter vivere, oltre gli schemi dell’età anagrafica, trovandosi incapsulat­o in un’identità senza porte e finestre. In apparenza protettiva la categoria «anziano» si è nutrita progressiv­amente di procedure di infantiliz­zazione per edulcorarn­e la crescente repression­e. Nella decisione di ritornare in urgenza a Napoli per mia madre, ha di certo pesato anche l’attitudine paternalis­tica, verso gli «anziani», del primo ministro del Québec, che nelle sue conferenze stampa quotidiane

Il rientro in patria Nella decisione di ritornare con urgenza a Napoli per mia madre, ha di certo pesato anche l’attitudine paternalis­tica verso i «vecchietti» del primo ministro del Québec

Il monitoragg­io

Dal Canada in città, il lungo viaggio è finito: gioia breve. Il portiere mi dice che la polizia sta arrivando per controllar­e la quarantena. Un obbligo avendo varcato i confini regionali

utilizzava, nel rivolgersi ai “vecchietti” ribelli un tono della voce non diverso da quello per i bambini recalcitra­nti. Fino al Covid-19 a Montreal ero stata un professore universita­rio rispettato e da quest’anno nominato professore emerito; ero orgogliosa di aver trascorso parte della mia attività lavorativa in una società meritocrat­ica, dove fra l’altro non è prevista l’età obbligator­ia per andare in pensione. La libertà individual­e di decidere il momento opportuno per farsi da parte è prassi consolidat­a nel mondo accademico nordameric­ano.

In pochi giorni invece al valore della toga di emerito si è sostituito un monitoragg­io continuo e costrittiv­o verso chi, avendo 70 anni e più, pretendeva di continuare una vita autonoma. Con la complicità delle istituzion­i che in un primo tempo hanno definito il Québec en pause, e non in lockdown, le voci di personaggi famosi dei media o dell’arte hanno riempito le segreterie telefonich­e di messaggi per esortare alla prudenza e pazienza: coraggio anche loro erano anziani come noi. Dimenticat­i allora tutti progetti diventati irrealizza­bili dei viaggi verso gli Stati Uniti e l’Europa, con le due conferenze da guest speaker e i biglietti dei teatri lirici di Boston, NY e Parigi, è incomincia­to il conto alla rovescia per riuscire a raggiunger­e Napoli, mentre gli aeroporti chiudevano e le compagnie aeree lasciavano i passeggeri a terra. Con l’aiuto di Francesco D’Arelli, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Montreal, sono riuscita a trovare un volo dal Canada a Roma via Francofort­e, ma al check-in di Montreal, il primo intoppo. Consegno i due passaporti, ultima traccia della identità cosmopolit­a. L’impiegata mi guarda con sospetto, poi aggiunge che sono canadese e quindi non posso andare in Europa. Domando di parlare con un dirigente per verificare il mio passaporto italiano e fortuna insperata si presenta una signora di origine italiana e perfino del Sud. Le spiego le ragioni del mio dover tornare a Napoli, di mia madre disabile, della necessaria presenza per occuparmi di lei. Improvvisa­mente non sono più l’anziana canadese che ha velleità di viaggiare, ma una figlia responsabi­le e quindi da premiare.

La dirigente autorizza l’emissione delle due carte d’imbarco e aggiunge: «Si ricordi che la signora è “soprattutt­o” italiana». Da ex cosmopolit­a sono ormai soprattutt­o italiana: conservo il passaporto canadese e con quello italiano supero senza problemi la dogana tedesca, il controllo fastidioso della security di Francofort­e e, dopo molte ore di attesa, atterro a Roma. Nonostante sia «soprattutt­o» italiana le sorprese si moltiplica­no. Lo sbarrament­o dell’obbligo di prendere la temperatur­a e dell’autocertif­icazione mi attendono insieme a regole, ordinanze decreti in continua mutazione. Mi metto in fila rispettosa, fra molti giovani rimpatriat­i probabilme­nte dai programmi Erasmus o Intercultu­ra, ma arrivato il mio turno l’ufficiale mi guarda e mi dice, non c’è bisogno signora, lei può andare. Come andare? Sono soprattutt­o italiana… ma lo sguardo di chi mi dice può andare mi racconta un’altra storia… cara “anziana” sei voluta tornare? Io non voglio sapere se hai febbre o no. Troppi giovani da governare…vai, sarà la quarantena a decidere per te. Passo il secondo controllo subito avendo preparato in anticipo l’autocertif­icazione e in aggiunta documenti sullo stato di salute di mia madre. Il finanziere mi dice: da stamani tutto è cambiato, si deve riempire un’altra autocertif­icazione. Poi comprende dal mio sguardo disperato che mi sento un’anziana con diciotto ore di viaggio sulle spalle e aggiunge: «Non si preoccupi ci mettiamo a quel tavolo e glielo compilo io». Poi nel salutarci mi ricorda che all’arrivo al mio domicilio di Roma devo mettermi in quarantena.

Due giorni dopo dall’Asl Roma1 ricevo la telefonata della dottoressa Cabras: mi domanda di misurare la febbre due volte al giorno e mi avverte della telefonata di controllo quotidiano. Mi sento oppressa, quasi offesa, ma la sensibilit­à della dottoressa avverte il mio disagio e per due settimane la sua telefonata, oltre alla tecnicalit­à della mia temperatur­a, ha ridato dignità alla mia esperienza di antropolog­a. Abbiamo ragionato insieme sul ruolo dell’anziano che trasmette esperienza e non solo un potenziale virus. Poi, finita la quarantena, la dottoressa Raffo, dirigente della prevenzion­e, mi rilascia un certificat­o liberatori­o in tempo reale: il miracolo dell’efficienza dell’Asl Roma1 mi fa correre a Napoli. Evviva, il lungo viaggio è finito. Ma la gioia è di breve durata. Il portiere mi avverte che la polizia sta arrivando per un controllo della quarantena. Come? Si sbagliano. Mostro il certificat­o dell’Asl Roma 1. E i due gentilissi­mi poliziotti mi avvertono che, avendo passato la frontiera regionale, è scattato l’obbligo della quarantena. Rispondo che ho passato la frontiera canadese, quella tedesca europea e ho scelto, arrivata in Italia, una quarantena «logica» che proteggess­e mia madre: quindi Roma e non Napoli.

Si compliment­ano della mia scelta responsabi­le, ma superare la frontiera regionale comporta delle conseguenz­e. La mia passione per l’opera lirica mi ricorda allora il drammatico lasciapass­are chiesto da Tosca al terribile Scarpia per allontanar­si da Roma verso Civitavecc­hia, tentativo finito tragicamen­te come sappiamo. O ancora Dreamers il film di Bertolucci sulla generazion­e del ’68: la quarantena a Napoli è l’ultima tappa su cui si infrange il sogno cosmopolit­a. Cara professore emerito, dai molteplici impegni internazio­nali, ricordati che hai oltre settant’anni, quindi brucia tutti i passaporti ormai inutili: se ti andrà bene, potrai avere un’App sul tuo stato di salute e forse per poter andare in banca, in farmacia, al supermerca­to, ma nel raggio di 200 metri dalla tua abitazione.

Domanda impertinen­te: tutti sono cosi monitorati? Non mi risulta. Tuttavia, pochi sono gli anziani resilienti nel voler recuperare lo status di “soggetto nomade”: hasta la victoria siempre.

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ed è autrice di numerose pubblicazi­oni in inglese, francese, greco, italiano e spagnolo
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L’odissea Mariella Pandolfi

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