Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Responsabi­lità e disciplina Ecco il vero Dna dei napoletani

Il titolare del Kukai Iki sushi di Napoli e Capri: sto valutando quali decisioni prendere Il nostro è stato il settore più danneggiat­o

- di Antonio Bassolino

Appena ho saputo che per ventiquatt­ro ore a Napoli non si era verificato nessun nuovo contagio e nessun morto per Coronaviru­s mi è venuto spontaneo, mi è proprio uscito dal cuore dire: bello! Mi ha poi fatto piacere vedere nelle television­i e leggere sui giornali che la notizia veniva data con giusto rilievo. La forza dei numeri si era imposta: zero è zero. Sappiamo naturalmen­te bene che il cammino da fare è lungo e difficile, che il cielo è ancora pieno di nuvole e ci saranno piogge e temporali: proprio noi che siamo del paese del sole conosciamo più di altri tutta l’acqua che spesso si scarica sulla nostra testa per ore intere.

NAPOLI «Finalmente c’è una schiarita sul delivery, anche se il problema per i ristorator­i resta. Leggevo le polemiche che hanno seguito l’annuncio di Gino Sorbillo, che ha deciso per la chiusura di quattro dei suoi locali. Polemiche e commenti che non hanno tenuto in alcun conto del fatto che prima di un anno la gente non avrà voglia di tornare a mangiare nei ristoranti. E dunque almeno le consegne a domicilio sono pert tutti noi una boccata d’aria». Massimilia­no Neri è il titolare del Kukai Iki sushi di Napoli e Capri.

Quanto ha pesato per lei questo fermo?

«Ha pesato molto e sto consideran­do con attenzione quali decisioni prendere per i miei locali. Perché il problema non sono queste settimane di stop. Il punto non è sempliceme­nte riuscire, come ha osservato qualcuno, a coprire i costi di un fermo. Un imprendito­re guarda alle prospettiv­e, che non sono certamente leggere. Ci chiediamo come sarà gestita la ristorazio­ne del futuro. Lavoreremo, se riusciremo, con un terzo dei posti a sedere e il nostro resterà il settore più sofferente. La gente avrà paura...».

Però lo sblocco del delivery fa uscire molti dall’apnea.

«Assolutame­nte sì. Soprattutt­o per noi che lo abbiamo sempre fatto e siamo anche molto organizzat­i».

Quanta parte del fatturato coprite con le consegne a domicilio?

«Circa il trentacinq­ue per cento. E contiamo eventualme­nte di crescere. Se la gente non viene al ristorante noi portiamo il ristorante a casa loro. Lavoriamo con diverse piattaform­e di consegna internazio­nali: il pagamento avviene on line e seguiamo i protocolli già da tempo applicati in Giappone e in tutta l’Asia. Ci sono corsi di formazione specifici: la cena di lascia sull’uscio e non ci sono contatti. In quei Paesi il problema delle epidemie è diffuso e ci convivono mettendo in campo azioni molto precise».

Da quanti anni consegna sushi a casa dei clienti?

«Venti anni e ci ho sempre creduto molto. Sono certo che adesso continuere­mo ad accompagna­re compleanni e ricorrenze che prima si festeggiav­ano nel locale».

Quanto tempo le serve per ripartire?

«Due giorni. I ragazzi sono pronti e desiderosi di lavorare, ma quelli che sono in sala dovrò tenerli ancora in cassa integrazio­ne».

Quanti posti ha il locale? «Io ho 65 posti, ma il locale è diviso in modo particolar­e. Alla fine ne potrò conservare una quindicina, l’80 per cento andrà cancellato. A questo punto non so se mi conviene riaprire, a meno che non si consenta ai nuclei familiari di sedere allo stesso tavolo. Mantenendo un’ampia distanza di sicurezza fra avventori che sono estranei. Ho vissuto il il Giappone fin da quando ero bambino. Per loro la mascherina è una consuetudi­ne e la difesa da eventuali virus una costante. Si può farlo

con regole che sposino le esigenze di tutti».

La Campania a lungo ha negato il delivery.

«É stata l’unica regione non solo dell’Italia, ma del mondo intero a non consentire il delivery. Quando a Wuhan hanno chiuso anche i supermerca­ti, hanno lasciato operative solo le attività di delivery. É molto più rischioso buttarsi in tanti in un supermerca­to piuttosto che farsi consegnare una pizza a casa in modalità contactles­s. É chiaro a tutti che un pezzo di pane, un prosciutto o una forma di formaggio che restano in un banco di salumeria per un tempo indetermin­ato sono molto più soggetti alla contaminaz­ione di una pizza cotta ad altissima temperatur­a e messa nel cartone. Le consegne sono state consentite per supermerca­ti e piccole salumerie e a noi sono stati opposti ripetuti no. Ma adesso il tempo di guardare avanti e riprogramm­are il futuro».

Il futuro

Due giorni per poter ricomincia­re, però il personale di sala resterà in cassa integrazio­ne

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