Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Responsabilità e disciplina Ecco il vero Dna dei napoletani
Il titolare del Kukai Iki sushi di Napoli e Capri: sto valutando quali decisioni prendere Il nostro è stato il settore più danneggiato
Appena ho saputo che per ventiquattro ore a Napoli non si era verificato nessun nuovo contagio e nessun morto per Coronavirus mi è venuto spontaneo, mi è proprio uscito dal cuore dire: bello! Mi ha poi fatto piacere vedere nelle televisioni e leggere sui giornali che la notizia veniva data con giusto rilievo. La forza dei numeri si era imposta: zero è zero. Sappiamo naturalmente bene che il cammino da fare è lungo e difficile, che il cielo è ancora pieno di nuvole e ci saranno piogge e temporali: proprio noi che siamo del paese del sole conosciamo più di altri tutta l’acqua che spesso si scarica sulla nostra testa per ore intere.
NAPOLI «Finalmente c’è una schiarita sul delivery, anche se il problema per i ristoratori resta. Leggevo le polemiche che hanno seguito l’annuncio di Gino Sorbillo, che ha deciso per la chiusura di quattro dei suoi locali. Polemiche e commenti che non hanno tenuto in alcun conto del fatto che prima di un anno la gente non avrà voglia di tornare a mangiare nei ristoranti. E dunque almeno le consegne a domicilio sono pert tutti noi una boccata d’aria». Massimiliano Neri è il titolare del Kukai Iki sushi di Napoli e Capri.
Quanto ha pesato per lei questo fermo?
«Ha pesato molto e sto considerando con attenzione quali decisioni prendere per i miei locali. Perché il problema non sono queste settimane di stop. Il punto non è semplicemente riuscire, come ha osservato qualcuno, a coprire i costi di un fermo. Un imprenditore guarda alle prospettive, che non sono certamente leggere. Ci chiediamo come sarà gestita la ristorazione del futuro. Lavoreremo, se riusciremo, con un terzo dei posti a sedere e il nostro resterà il settore più sofferente. La gente avrà paura...».
Però lo sblocco del delivery fa uscire molti dall’apnea.
«Assolutamente sì. Soprattutto per noi che lo abbiamo sempre fatto e siamo anche molto organizzati».
Quanta parte del fatturato coprite con le consegne a domicilio?
«Circa il trentacinque per cento. E contiamo eventualmente di crescere. Se la gente non viene al ristorante noi portiamo il ristorante a casa loro. Lavoriamo con diverse piattaforme di consegna internazionali: il pagamento avviene on line e seguiamo i protocolli già da tempo applicati in Giappone e in tutta l’Asia. Ci sono corsi di formazione specifici: la cena di lascia sull’uscio e non ci sono contatti. In quei Paesi il problema delle epidemie è diffuso e ci convivono mettendo in campo azioni molto precise».
Da quanti anni consegna sushi a casa dei clienti?
«Venti anni e ci ho sempre creduto molto. Sono certo che adesso continueremo ad accompagnare compleanni e ricorrenze che prima si festeggiavano nel locale».
Quanto tempo le serve per ripartire?
«Due giorni. I ragazzi sono pronti e desiderosi di lavorare, ma quelli che sono in sala dovrò tenerli ancora in cassa integrazione».
Quanti posti ha il locale? «Io ho 65 posti, ma il locale è diviso in modo particolare. Alla fine ne potrò conservare una quindicina, l’80 per cento andrà cancellato. A questo punto non so se mi conviene riaprire, a meno che non si consenta ai nuclei familiari di sedere allo stesso tavolo. Mantenendo un’ampia distanza di sicurezza fra avventori che sono estranei. Ho vissuto il il Giappone fin da quando ero bambino. Per loro la mascherina è una consuetudine e la difesa da eventuali virus una costante. Si può farlo
con regole che sposino le esigenze di tutti».
La Campania a lungo ha negato il delivery.
«É stata l’unica regione non solo dell’Italia, ma del mondo intero a non consentire il delivery. Quando a Wuhan hanno chiuso anche i supermercati, hanno lasciato operative solo le attività di delivery. É molto più rischioso buttarsi in tanti in un supermercato piuttosto che farsi consegnare una pizza a casa in modalità contactless. É chiaro a tutti che un pezzo di pane, un prosciutto o una forma di formaggio che restano in un banco di salumeria per un tempo indeterminato sono molto più soggetti alla contaminazione di una pizza cotta ad altissima temperatura e messa nel cartone. Le consegne sono state consentite per supermercati e piccole salumerie e a noi sono stati opposti ripetuti no. Ma adesso il tempo di guardare avanti e riprogrammare il futuro».
Il futuro
Due giorni per poter ricominciare, però il personale di sala resterà in cassa integrazione