Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA VERA IMPRESA È ESSERE NORMALI
Il ragionamento è semplice: noi napoletani dovremmo approfittare delle norme di distanziamento fisico imposte dall’epidemia di coronavirus per superare lo stato di eccezionalità in cui ci siamo abituati a vivere in passato. Semplicemente partendo dalla considerazione per cui, complice la pandemia, non possiamo più permetterci di restare unici, straordinari, di vagare da un estremo all’altro della fantasia mediterranea, professando col nostro vitalismo il primato dell’individuo su quello della comunità. Detta in maniera forse un po’ greve: ciascun napoletano col suo film in testa, per come la vedo, deve piantarla qui e farlo subito.
Se qualcuno avesse ancora dubbi in merito, dopo decenni (o forse secoli) trascorsi a interrogarci se valga più la pena conservare la nostra impareggiabile, anarchica unicità oppure provare a diventare un po’ più ovvi e discreti, magari col rischio di sentirci meno colorati, potrebbe trarre utili indicazioni in merito osservando dalla prospettiva della strada questa prima settimana di Fase 2.
Faccio alcuni banali esempi. Se dobbiamo convivere col virus, con tutte le conseguenti misure di cautela necessaria, possiamo ancora permetterci i negozianti che espongono la loro merce occupando i marciapiedi? Possiamo consentire la sosta selvaggia di auto e scooter in prossimità dei passaggi pedonali? O che permangano le insopportabili barriere architettoniche per le persone con disabilità, per gli anziani, per i più piccoli? Possiamo, dunque, continuare a vivere come abbiamo sempre fatto, cioè accordando il nostro consenso implicito all’inaccordabile, lasciando che chiunque e in qualsiasi momento della giornata possa imporre all’altro il proprio narcisismo sociale, ingiungendo l’antica legge della sopraffazione della giungla? So bene che questo mio ragionamento soffre di poco solide radici filosofiche e manca da ogni parte di quell’ampio respiro che è richiesto a visioni più o meno sensate del futuro. Con tutto il rispetto per chi queste visioni ce le ha, e le avrà nei prossimi mesi e anni, in questo periodo mi preme contribuire alla costruzione di qualcosa di più piccolo e immanente, lanciando un suggerimento a chi ha l’ingrato compito di amministrarci.
Dunque, il mio non è un invito a implementare politiche securitarie, perché di restrizioni ne abbiamo subite fin troppe. E tutto sommato, al di là di fisiologiche sacche di disobbedienza, nei duri mesi della Fase 1 i napoletani hanno dato dimostrazione di compostezza e civiltà. Al contrario, è un invito pressante a rispettare nella Fase 2 la libertà di ciascuno partendo dai più deboli, cioè da coloro che già nella Fase 0 erano schiacciati ed esclusi da chi nella giungla faceva la voce grossa.
Non chiediamo miracoli, ma un sussulto di dignità. Non vogliamo sentir parlare dell’immenso cuore dei napoletani, ma pretendiamo qualche pista ciclabile in più. Nemmeno del miracolo di San Gennaro ci interessa se i semafori son spenti. Vogliamo che si rispetti oggi quel che nessuno ha rispettato ieri. E soprattutto ci interessa costruire una città dove gli spazi verdi non siano solo quelli dei giardini abusivi dei ricchi, dove l’aumento del traffico privato non sia l’unico modo per alleggerire il trasporto pubblico, dove a una mamma e a un papà sia consentito uscire col carrozzino o a un anziano col bastone far due passi senza dover pensare che la prossima volta sarà meglio restarsene a casa. Troppo banale? Probabile. Possiamo allora risolvere queste banalità e passare a discutere del resto?