Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN PASSATO DA NON RIVIVERE
Il rischio c’era e c’è. Intatto. Tutto può tornare come prima e forse, peggio. Tutto: il traffico, l’uso di combustibili sporchi, gli sprechi, il cemento onnivoro, la crescita dei bordi delle città, la cultura becera che accompagna le pratiche sovraniste, l’incremento di una vena fascista della quale non riusciamo a liberarci. Come se niente fosse. Come se febbraio, marzo, aprile fossero già archiviati e fosse archiviato il dolore che per settimane ha abitato le nostre vite. Come se le domande radicali che il virus ha imposto possano essere tenute a bada da risposte contingenti, da blandi anestetici. Il rischio di tornare a quella normalità malata che ci ha portato fin qui, si annida nello stato d’animo diffuso. Nel desiderio di adagiarsi su stili di vita conseguenze di un sistema di valori colpevole, acquisito e inattaccabile. Quasi fosse un destino.
Non mancano sfide e proposte «controcorrente» e non mancano quote significative di consenso a chi mette in guardia dai ritorni indietro e propone inedite soluzioni. Tra queste, quella tratteggiata con mano sapiente dal professore Stefano Boeri, che sarà ospite dell’edizione autunnale dei Dialoghi sul male a Ceraso.
Architetto conosciuto in tutto il mondo anche per il suo Bosco verticale e presidente della Triennale di Milano. Una mano che sa, conosce le difficoltà e le implicazioni ma sa anche che senza radicalità non si intaccano minimamente i paradigmi conoscitivi, economici e culturali sedimentati. Boeri auspica — bignamizzo, sacrificando la ricchezza della proposta — un piano nazionale per il decongestionamento delle aree urbane e il ripopolamento dei tantissimi borghi abbandonati di cui sono pieni il nostro Paese e la nostra regione. Testimoni
di un mondo e di relazioni dissolte sotto i colpi di una modernità che ha fatto crescere le città e mortificato, disgregato, trame relazionali generate da culture materiali spesso straordinarie.
Non un «luna park» per cittadini in libera uscita ma soluzioni strutturali con una rete di servizi adeguata. Una civiltà che armonizzi il rapporto città campagna e che risponda agli effetti devastanti del virus tratteggiando altre priorità, e usufruendo di una speciale strategia comunicativa che faccia comprendere le implicazioni e la ricchezza anche culturale del progetto.
Il Cilento e la Campania tutta possono essere luogo di sperimentazione con la dorsale appenninica spopolata, con insediamenti urbani coacervo di contraddizioni e congestioni dove il brutto avanza senza ostacoli. Vatolla, Serramezzana, Roscigno, Amalafede, Casigliano, Monte Cicerale, il Sannio, l’alta Irpinia, il Matese possono diventare capitoli virtuosi di un piano che restituisca vita alle case, canti e preghiere alle chiese, spazi alle fiere, terra da coltivare, lavoro, ma, anche, musica alle ragazze e ai ragazzi, scuole, trasporti, connessioni.
Conforto e tenerezza agli anziani. Il virus e la sua diffusione differenziata può trasformare lo stesso rapporto tra le differenti aree del nostro Paese. Da più parti si paragona il presente che ci tocca vivere al dopoguerra degli anni ’50. La pressione demografica allora fu risolta con l’emigrazione di tantissimi soprattutto meridionali. Oggi la decongestione delle città e una migrazione verso le aree interne possono essere una risposta. Un fecondo progetto economico e di vita. La Regione, i Parchi, le comunità possono trasformarsi, usando le risorse nazionali ed europee, pubbliche e private, in programmatori non burocratici di uno sviluppo inedito. Abbandonando la scelta di interventi sporadici e burocratici affidati ad un programmatore pubblico prigioniero di interessi e compatibilità non adeguati alle emergenze di oggi. Perchè tutto non torni come prima. «Bisogna passare» come dice il poeta irpino, paesologo, Franco Arminio «dalla comunità pozzanghera di oggi, fatta di desolazione e depressione, alla comunità ruscello di domani, con la vita che scorre. Adesso è una scelta, in futuro sarà una necessità».