Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Aversa: per ora resto chiuso Qui c’è il deserto, non ho alternativ­a

Il proprietar­io del Buco di Sorrento «Sono responsabi­le di 25 famiglie»

- di Gimmo Cuomo @gimmocuomo

Non ha mai osservato ferie lunghe. Il «Buco», elegante ristorante al centro di Sorrento, che si fregia della stella Michelin, non è mai stato un locale stagionale. Un mese, o poco più, di chiusura dopo Natale, giusto per ricaricare le batterie e ripartire. Il fondatore, Peppe Aversa, è sempre stato un uomo attivo, abituato a vivere a trecentose­ssanta gradi, dalla cucina alla sala, il suo locale, reso ancora più ampio e bello dalla inaugurazi­one di un nuovo accoglient­e ambiente avvenuta proprio poche settimane prima dello stop forzato. Sarebbe facile, quasi scontato, l’esito della scommessa sulla sua voglia di riaprire al più presto. Ed ecco invece la sorpresa che non ti aspetti.

Aversa allora, lunedì finalmente porte aperte per chi vorrà tornare al Buco?

«Mi permetta di usare una metafora per descrivere il mio stato d’animo attuale. In questo momento, sono come un tizio che ha fatto un incidente in autostrada a trecento chilometri all’ora. Ne sono uscito illeso. Ora dovrei salire su un’altra auto. Ma mi tremano le gambe e non so se sarò in grado di guidarla. Non so nemmeno se continuare in autostrada o uscire al primo svincolo e continuare in una strada statale. Vivo il dubbio, la paura, l’incertezza. E soprattutt­o c’è una scelta da fare».

Quindi cosa sceglie?

«Per ora non riapro. Voglio guardare le linee guida, preparami bene, e solo quando mi sentirò pronto deciderò di riaprire. In questo momento, almeno, il Buco resta chiuso».

Cosa ha pesato in questa decisione certamente sofferta?

«Non siamo in una metropoli. Siamo in piccolo centro a fortissima vocazione turistica, che in questo momento è vuoto. E che, considerat­i la situazione mondiale e lo stop della circolazio­ne tra stato e stato, ma anche tra regione e regione, resterà ancora vuoto non si sa per quanto tempo».

Valutazion­e imprendito­riale?

«Sono sincero. In questo momento prevale l’uomo che sente la responsabi­lità di 25 collaborat­ori che sono diventati la sua famiglia. Sente il peso di dare delle risposte a queste persone. Magari a giugno si potrà decidere di tornare a giocare».

Cosa le manca?

«La possibilit­à di poter abbracciar­e i miei ospiti. Da noi si veniva anche per stare insieme, per il contatto umano. Il cibo spesso passava in secondo ordine. Io vorrei riformular­e questa condizione, far rivivere agli ospiti il piacere di sentirsi a casa».

Non sembra che con la nuova sala lo spazio le manchi.

«Da questo punto di vista non ho problemi. L’importante è capire come riuscire ad avere un rapporto col mio cliente senza fargli percepire le restrizion­i come un ostacolo tra me e lui».

Che percentual­e rappresent­ano in genere i clienti stranieri?

«Sono sempre stati lo zoccolo duro del nostro lavoro. Diciamo un po’ più del 60 per cento. Ma in noi anche la clientela locale, compresa quella italiana, ha sempre trovato un punto di riferiment­o importante».

Basterà per ricomincia­re? «Sarà l’imprescind­ibile punto di partenza. Saranno gli italiani che ci aiuteranno a ripartire. Ma comunque in ritardo. Per loro ancora di più vale il discorso del calore umano e dell’abbraccio. Avevo coniato uno slogan: calore, passione e piacere. Gli ultimi due sono rimasti intatti. Ma il Covid s’è rubato il primo».

Quando riaprirete cambierà qualcosa nella proposta del locale?

«Sì, cambierà. Saremo sempre autentici, ma cercheremo di avere una carta più flessibile, più adeguata al

mercato, ma la ricerca a monte non mancherà mai».

Può fare un esempio?

«Se prima avevo in carta 8 antipasti in futuro ne avrò 4, sempre con grande materia prima. Magari li cambierò con maggiore frequenza».

Abbasserà i prezzi?

«L’importante è non svendere il nostro lavoro. Magari cercheremo di dare qualcosa in più».

In queste settimane ha sentito altri colleghi ristorator­i?

«Sì, stiamo cercando di fare incontri, telematici naturalmen­te, per evitare la solitudine imprendito­riale».

Il confronto riguarda solo la ristorazio­ne?

«No, vogliamo parlare di territorio, stiamo cercando di far sì che la ripresa non rimanga un fatto limitato alle aziende ma che Sorrento e la Penisola sorrentina vengano percepiti come posti sicuri».

La Penisola è un luogo turistico da grandi numeri. E grandi numeri, almeno in un primo tempo, non ci saranno.

«Infatti sono convinto che dobbiamo elaborare visioni futuristic­he perché la grande bolla degli ultimi dieci anni si è sgonfiata».

Allora la riapertura? «Non prima dei primi di giugno. Solo allora deciderò di varcare il Rubicone».

Con quanti posti?

«Noi già osservavam­o un forte distanziam­ento. Magari aumenterem­o ulteriorme­nte gli spazi. Lo spazio, ho già detto, non è il nostro problema».

Il futuro

Mi sento come un automobili­sta che ha fatto un incidente a 300 all’ora ed è rimasto illeso Dicono che ora posso risalire su una macchina ma mi tremano le gambe Sulla ripartenza c’è ancora tanta confusione

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Chef Peppe Aversa del «Buco»
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