Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cutolo resta in carcere Il giudice di sorveglianza: «Non è in pericolo di vita e viene seguito dai medici»
Dopo le polemiche feroci per la scarcerazione dei boss, l’invio degli ispettori a Sassari per il caso Zagaria e il decreto che prova a riportare in cella quanti ne sono usciti per l’emergenza sanitaria la notizia non giunge inattesa: Raffaele Cutolo resta in carcere. Il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, Cristina
Ferrari, ha infatti respinto l’istanza di sospensione di esecuzione della pena con applicazione provvisoria della detenzione domiciliare, avanzata per motivi di salute dalla difesa del fondatore della Nuova camorra organizzata. Cutolo, che ha 78 anni, da circa 25 è detenuto al 41 bis, attualmente nel carcere di Parma; a febbraio era stato trasferito per un periodo dal carcere all’ospedale, in modo da garantire le migliori terapie per i suoi problemi respiratori.
Per il giudice, come si legge nelle motivazioni della decisione, Raffaele Cutolo non ha una malattia di «gravità tale da potersi formulare una prognosi infausta quoad vitam», e «l’ampia documentazione acquisita comprova una situazione detentiva rispettosa della dignità personale, in cui il paziente può contare su presenza e monitoraggio costante degli operatori sanitari». Se anche le sue condizioni di salute dovessero aggravarsi, argomenta il giudice, il detenuto potrebbe contare «sulle strutture territoriali esterne», dove appunto è stato già temporaneamente ricoverato a febbraio. Quanto al rischio Covid, le patologie di cui soffre non vengono ritenute «esposte a rischio aggiuntivo» per l’attuale emergenza, visto che il regime di 41 bis gli permette «di fruire di stanza singola, dotata dei necessari presidi sanitari» e lo tutela anche perché il boss di Ottaviano «da anni ha rinunciato ai momenti di socialità, così di fatto riducendo ulteriormente i contatti interpersonali e le vie di contagio». Nelle motivazioni si legge poi che «la condotta oppositiva di Cutolo all’esecuzione di esami e accertamenti giustifica il rigetto dell’istanza. Per maggior tutela dei detenuti sottoposti al regime detentivo, si raccomanda che, in occasione dei colloqui con i propri avvocati, sia il detenuto che il legale indossino dispositivi di protezione e che vengano informati sul rispetto delle norme di distanziamento fisico».
Il giudice dà anche conto del sostegno dato al carcere di Parma dal Dap, con l’invio l’8 maggio scorso di otto operatori socio-sanitari che si occupano anche del boss della camorra, cui sono stati forniti anche un letto dotato di sponde e un materasso anti-decubito. Cutolo soffre di diverse patologie, a cominciare da una cardiopatia ipertensiva e dal diabete. Quando, l’8 marzo scorso, era rientrato in carcere dall’ospedale, i sanitari avevano sottolineato la necessità per lui di un care giver 24 ore su 24, o in alternativa di un operatore sociosanitario, figura professionale però non presente in quel momento nel carcere di Parma. Motivo, le sue «limitate autonomie» e il suo «pervicace rifiuto» di utilizzare le attrezzature messe a sua disposizione, come il bastone a tre piedi per gli spostamenti, con il «rischio concreto di cadute accidentali». Di qui la decisione del Dap di assegnare operatori socio-sanitari al carcere di Parma.
Nel provvedimento si dà conto anche del parere negativo alla concessione del beneficio della Dna e della Dda competenti vista la «caratura criminale» del boss. Il difensore di Cutolo, Gaetano Aufiero, ha già annunciato che farà ricorso contro la decisione: «Rispetto il provvedimento del magistrato, sebbene non lo condivida. Andrò a Bologna davanti al Tribunale di sorveglianza per portare avanti la mia difesa e l’idea che le patologie molto gravi di cui soffre Cutolo siano incompatibili con il sistema carcerario. Nelle ultime settimane — spiega Aufiero — ho ascoltato e letto tanti commenti di persone che hanno gridato allo scandalo per scarcerazioni più o meno rilevanti, ma soprattutto ho sentito commenti di chi ritiene che il sistema giudiziario, penale e penitenziario italiano debba esprimere un’idea di morte, cioè che una persona malata deve morire in carcere. Io appartengo a una schiera spero non minoritaria che ritiene che invece la Costituzione sia ancora vigente e che l’articolo 27 meriti rispetto. Prendo atto che Cutolo appartiene a quella categoria di detenuti destinata a morire in carcere, di questo prendo atto con estrema delusione».
Sul tema delle scarcerazioni è intervenuto l’ex ministro dell’Interno Enzo Scotti: «Il vero pericolo è che la mafia mostri ai suoi e ai cittadini tutti che, alla fine, il suo potere è forte. Ecco perché cose di queste genere non possono capitare. La preoccupazione è quella di non sfilacciare lo Stato, di avere una reazione unitaria e composta. C’è bisogno di una forte coesione dello Stato. Non conosco la vicenda ma dico soltanto che bisogna rivolgere una grande attenzione a questi problemi». Il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto, ha intanto scritto al prefetto, Marco Valentini, per manifestare la sua preoccupazione per il possibile ritorno dei boss in città.
Le motivazioni L’ampia documentazione acquisita comprova una situazione rispettosa della dignità personale in cui il paziente può contare su presenza e monitoraggio costante da parte degli operatori sanitari