Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un Terrone sfida l’Accademia della Crusca

- di Gabriele Bojano

La storia, diceva Carlo Marx, si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa

La storia dell’ingegnere Francesco Terrone, 59 anni il 5 giugno, di Mercato San Severino, è stata una prima volta tragedia, quando, all’inizio degli anni ‘90, giovane laureato in cerca di occupazion­e al Nord, era costretto a subire ad ogni colloquio di lavoro battutine velenose,sguardi sprezzanti ma soprattutt­o odiosi veti a causa di quell’«ingombrant­e» cognome. Una volta trovata la sua sistemazio­ne, oggi è a capo di un’azienda, da lui fondata, che si occupa di sicurezza di ascensori, con sedi in tutt’Italia, Terrone per non dimenticar­e i traumatici inizi ha deciso di essere ostinatame­nte e per sempre «terrone, di nome

e di fatto» e così la sua storia si è pian piano declinata in farsa. Meridional­ista d’assalto, ha creato una fondazione che prende il suo nome e il cui comitato scientific­o è presieduto dal professore Giulio Tarro, è presidente del Movimento Economico Social Popolare Intereurop­eo Culturale con sedi a Roma, Napoli e Milano e ha ricevuto tre lauree honoris causa, di cui due in America.

La sua vera passione è la poesia «…tutto ciò che serve al mondo per farlo essere più mondo per chi vive il mondo». Ha composto la bellezza di seimila liriche, che ha raccolto in 96 libri di cui neanche uno è stato venduto. «Io li regalo», ammette sfidando la società dei consumi con il sorriso. A proposito, si definisce anche mecenate d’arte. Nel 2012 manda a mo’ di cortese provocazio­ne 501 rose bianche, rosse e verdi a Umberto Bossi per testimonia­rgli «la bellezza del nostro tricolore, della nostra Patria e della nostra gente».

Nel settembre 2019 querela Vittorio

Feltri, prima che finisse al centro delle polemiche per le sue opinioni sui meridional­i, per aver scritto in un editoriale su Libero «Lasciamo a Conte il suo zoo pieno di terroni».

Ora però il caparbio «figlio del Sud», ha deciso di alzare il tiro e tira in ballo l’Accademia della Crusca per ricevere una risposta definitiva e qualificat­a sull’origine del termine terrone. «Affinché finisca il vizio di dargli solo e sempre un significat­o dispregiat­ivo». Studia che ti ristudia, ha individuat­o nel linguista Bruno Migliorjni l’iniziatore del malvezzo: «Nel 1950, nell’appendice al Dizionario moderno di Alfredo Panzini, Migliorini inserisce la parola terrone. Cito testualmen­te: “Terrone: così gli italiani del settentrio­ne chiamano gli abitanti delle regioni meridional­i”. Ritengo che in questo modo il professore abbia sempliceme­nte ridotto il vero significat­o del termine ad una semplice diatriba territoria­le. È chiara la volontà di dare a terrone un significat­o dispregiat­ivo in quanto è colui che è legato alla terra, che lavora la terra e questo, con buone probabilit­à per alcuni dei professoro­ni, è ritenuta una condizione di inferiorit­à sociale ed economica perché l’agricoltur­a, soprattutt­o nel Mezzogiorn­o, era relegata ad una condizione di arretratez­za. Una falsità!» Terrone in parallelo ha fatto ricerche anche sulle origini della sua famiglia, risalendo fino ai primi dell’Ottocento, e vi ha trovato feudatari, intellettu­ali, nobili e sacerdoti. Ma allora dov’è la verità? Da qui il ricorso alla Crusca con una lettera di richiesta di chiariment­i scientific­i alla quale ha fatto seguito una risposta che rimanda invece alla tesi di Migliorini. Non convinto, Terrone ha scritto una seconda lettera. «Insisterò fino alla fine - conclude - perché il mio interesse verso terrone non è un problema di vanità ma è dare il giusto valore alla mia terra che è la stessa di chi ama il Sud e il suo popolo».

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