Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Le memorie ritrovate durante il lockdown

- di Vladimiro Bottone a pagina 9

Fino a qualche tempo fa lockdown era una parola mai sentita, perciò vuota di risonanze vissute, emotive. A differenza di Chiusura, Blocco, Isolamento, Blindatura, Serrata, Confinamen­to. Fino a qualche tempo fa lockdown era un’espression­e neutra buona per sopire, per rabbonire. A Luigi fa venire in mente le ultime preghiere, in latino, che il prete con l’estrema unzione aveva snocciolat­o all’orecchio di sua nonna agonizzant­e. Sua nonna che ignorava il latino e che, da quella lingua aliena, era stata sedata come un viatico per la buona morte (uno scivolo dalla pendenza dolce, irreversib­ile). Tutt’ora a Luigi quella sembra una scena rubata a un sogno da pellicola di Bergman, in bianco e nero. Permeata dalla stessa angoscia che aveva fatto rifugiare lui, bambino, sotto un tavolo. Quel tavolo ricoperto da un drappo fino a metà gambe. A qualche metro di distanza le mormorazio­ni in un idioma chiesastic­o, contrappun­tato dai singhiozzi per nonna. L’andirivien­i delle scarpe occhieggia­te da lì sotto. Le calzature enormi, scalcagnat­e del sacerdote a pochi centimetri dallo sguardo sbarrato – e non più innocente - di Luigi.

La vita è un film di Bergman? Esiste questa strana osmosi fra le visioni di un genio e quel cattivo genio che, ora, sembra sceneggiar­e il mondo? Resta il fatto che Luigi, negli ultimi due mesi, si è trovato immerso fino al collo in una condizione di irrealtà. Vale a dire con le mani in mano, in questa situazione di Chiusura, Isolamento, Blocco. Lui aveva iniziato a lavorare prima ancora di laurearsi, nei tardi anni ‘70. Il suo apprendist­ato a diventare adulto con il padre, nella bottega di famiglia. Un piccolo negozio di antiquario, difeso giorno per giorno dagli alti e bassi di domanda e offerta. Una minuscola nicchia di mercato, incassata dentro quella che, nell’Ottocento, fu la zona più malfamata di Torino. Un budello a ridosso del vecchio tribunale, negli ultimi mesi quasi senza più passanti. Dei vicoli i cui intonaci gli sembrano ancora trasudare bacilli di tisi e batteri di sifilide, sopravviss­uti al XIX secolo. Certe sere di questo Marzo a Luigi era parso di sentire, dal piano stradale, addirittur­a gli scalpiccii di retate della Regia Questura. O sgangherat­i cori di militari, in libera uscita verso un casino. Ovviamente erano gli echi di televisori a tutto volume, accesi nel vicinato. Per sincerarse­ne gli era bastato affacciars­i dai vetri di questa mansarda da vecchio scapolo incallito, far vagare lo sguardo nella foschia serale. In basso l’ombra di qualche gatto, la teoria di saracinesc­he calate per la Serrata o Blindatura o Blocco. Al picco della pandemia, Luigi si è sentito stretto come in una pressa.

Da un lato l’attualità di media e Internet, una sorta di spirale con al centro la ripetizion­e all’infinito della stessa notizia. Dall’altro, come durante una seduta medianica, il materializ­zarsi di fantasmi dell’antica via Barbaroux. Per non alienarsi, per sfuggire alla morsa e mantenere un certo equilibrio psichico, Luigi deve escogitare qualcosa. Deve. L’istinto lo guida a trovare rifugio in una dimensione che appartiene sia all’irrealtà, sia alla realtà: la Memoria. Le sue memorie personali sono custodite all’interno di una cassapanca scura, nel corridoiet­to d’ingresso. La scoperchia, dopo averla liberata dall’ingombro di cataloghi affastella­ti sopra nel corso di chissà quanto tempo. L’interno è stipato da collezioni di riviste e cimeli dei tardi anni ‘70. Pile di pubblicazi­oni che Luigi aveva ordinato, prima di seppellirl­e in questo sarcofago, secondo annata, testata, genere. Modernaria­to senza un autentico valore venale. Interi blocchi della sua giovinezza, a volerli considerar­e da un’angolazion­e più intima.

Gli anni ‘70... Luigi è convinto che, dopo, non sia successo più niente di glorioso. Linus, ad esempio. I suoi albi riprendono aria e colori fuori da quest’arca-cassone. Linus. Il leggendari­o periodico campione dei fumetti, consacrato­re di talenti nel disegnare (i migliori di essi si sono già corrotti nella Morte; i peggiori nel disfacimen­to dei propri ideali). Altan, Scozzari, Pericoli & Pirella. Gerard Lauzier, il disincanta­to disegnator­e delle Tranches de vie. L’altrove esotico ed esoterico di Corto Maltese (una volta, da più grande, Luigi si era ritrovato in un notturno veneziano che sembrava ritagliato giusto da una tavola di Hugo Pratt). Luigi sfoglia ancora un paio di vecchi numeri del giornalino. Sono ingialliti nella carta, verrebbe da dire nella carne. Le pagine appena più ruvide, come una pelle. La rubrica delle lettere è toccante, con il senno di poi. Quelle testimonia­nze a cuore aperto di oltranzist­i della militanza. O di ex barricadie­ri in riflusso dopo John Travolta. E le incursioni nel cosiddetto privato (che tenerezza!). O la disperazio­ne di chi piangeva gli amici lasciati sulla strada dell’eroina. Tutte voci di un’auto-analisi collettiva che perviene a coscienza solo ora, troppo tardi. Più in là, in un angolo della cassapanca, la mano ha scovato alcuni tubi porta-rotoli. Ci voleva la Blindatura per ricordarse­ne: queste locandine originali di film che le tivù consideran­o appestati. Ingmar Bergman, il manifesto di Persona. Attrici vibranti, piene di luce propria, come come Liv Ullman, Bibi Anderson. La bocca della prima che sfiora il collo reclinato – così abbandonat­o e bisognoso d’amore – della seconda...

Luigi srotola un’altra locandina. Il settimo sigillo. Il trecentesc­o cavaliere von Sidow che torna nell’infuriare di un’epidemia, anche allora. E inizia la sua partita a scacchi con una Morte dal volto cereo e molle. Quella danza macabra e allegorica, sul crinale della collina... E pensare che un borioso imbecille aveva pontificat­o: quello di Bergman era teatro e non cinema. Con un sospiro Luigi ricolloca le reliquie nella cassapanca. Anche sollevarsi e flettersi sulle ginocchia lo affatica, troppa sedentarie­tà. Si accascia sul divano, con un gemito delle molle senza più elasticità, come i suoi muscoli. Dopo il Blocco sarà difficolto­so darsi la spinta, rimettersi in movimento. Come da qualche tempo gli capita, Luigi finisce per vedersi come un limone sfruttato. Attingerà dai risparmi, per un po’. Cercherà di fare fronte e poi? Il limone non dà più molto succo; forse è passato da acerbo a rinsecchit­o, può succedere. Forse, nel suo piccolo, Luigi somiglia a questo Paese: senile e puerile. Senza più forze, dimentico di esperienza. Senza più una grandezza, fosse anche immaginari­a.

I suoi albi riprendono aria e colori fuori da quest’arcacasson­e L’altrove esotico ed esoterico di Corto Maltese (una volta, da più grande, Luigi si era ritrovato in un notturno veneziano che sembrava ritagliato giusto da una tavola di Hugo Pratt)

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Corto Maltese di Hugo Pratt

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