Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le memorie ritrovate durante il lockdown
Fino a qualche tempo fa lockdown era una parola mai sentita, perciò vuota di risonanze vissute, emotive. A differenza di Chiusura, Blocco, Isolamento, Blindatura, Serrata, Confinamento. Fino a qualche tempo fa lockdown era un’espressione neutra buona per sopire, per rabbonire. A Luigi fa venire in mente le ultime preghiere, in latino, che il prete con l’estrema unzione aveva snocciolato all’orecchio di sua nonna agonizzante. Sua nonna che ignorava il latino e che, da quella lingua aliena, era stata sedata come un viatico per la buona morte (uno scivolo dalla pendenza dolce, irreversibile). Tutt’ora a Luigi quella sembra una scena rubata a un sogno da pellicola di Bergman, in bianco e nero. Permeata dalla stessa angoscia che aveva fatto rifugiare lui, bambino, sotto un tavolo. Quel tavolo ricoperto da un drappo fino a metà gambe. A qualche metro di distanza le mormorazioni in un idioma chiesastico, contrappuntato dai singhiozzi per nonna. L’andirivieni delle scarpe occhieggiate da lì sotto. Le calzature enormi, scalcagnate del sacerdote a pochi centimetri dallo sguardo sbarrato – e non più innocente - di Luigi.
La vita è un film di Bergman? Esiste questa strana osmosi fra le visioni di un genio e quel cattivo genio che, ora, sembra sceneggiare il mondo? Resta il fatto che Luigi, negli ultimi due mesi, si è trovato immerso fino al collo in una condizione di irrealtà. Vale a dire con le mani in mano, in questa situazione di Chiusura, Isolamento, Blocco. Lui aveva iniziato a lavorare prima ancora di laurearsi, nei tardi anni ‘70. Il suo apprendistato a diventare adulto con il padre, nella bottega di famiglia. Un piccolo negozio di antiquario, difeso giorno per giorno dagli alti e bassi di domanda e offerta. Una minuscola nicchia di mercato, incassata dentro quella che, nell’Ottocento, fu la zona più malfamata di Torino. Un budello a ridosso del vecchio tribunale, negli ultimi mesi quasi senza più passanti. Dei vicoli i cui intonaci gli sembrano ancora trasudare bacilli di tisi e batteri di sifilide, sopravvissuti al XIX secolo. Certe sere di questo Marzo a Luigi era parso di sentire, dal piano stradale, addirittura gli scalpiccii di retate della Regia Questura. O sgangherati cori di militari, in libera uscita verso un casino. Ovviamente erano gli echi di televisori a tutto volume, accesi nel vicinato. Per sincerarsene gli era bastato affacciarsi dai vetri di questa mansarda da vecchio scapolo incallito, far vagare lo sguardo nella foschia serale. In basso l’ombra di qualche gatto, la teoria di saracinesche calate per la Serrata o Blindatura o Blocco. Al picco della pandemia, Luigi si è sentito stretto come in una pressa.
Da un lato l’attualità di media e Internet, una sorta di spirale con al centro la ripetizione all’infinito della stessa notizia. Dall’altro, come durante una seduta medianica, il materializzarsi di fantasmi dell’antica via Barbaroux. Per non alienarsi, per sfuggire alla morsa e mantenere un certo equilibrio psichico, Luigi deve escogitare qualcosa. Deve. L’istinto lo guida a trovare rifugio in una dimensione che appartiene sia all’irrealtà, sia alla realtà: la Memoria. Le sue memorie personali sono custodite all’interno di una cassapanca scura, nel corridoietto d’ingresso. La scoperchia, dopo averla liberata dall’ingombro di cataloghi affastellati sopra nel corso di chissà quanto tempo. L’interno è stipato da collezioni di riviste e cimeli dei tardi anni ‘70. Pile di pubblicazioni che Luigi aveva ordinato, prima di seppellirle in questo sarcofago, secondo annata, testata, genere. Modernariato senza un autentico valore venale. Interi blocchi della sua giovinezza, a volerli considerare da un’angolazione più intima.
Gli anni ‘70... Luigi è convinto che, dopo, non sia successo più niente di glorioso. Linus, ad esempio. I suoi albi riprendono aria e colori fuori da quest’arca-cassone. Linus. Il leggendario periodico campione dei fumetti, consacratore di talenti nel disegnare (i migliori di essi si sono già corrotti nella Morte; i peggiori nel disfacimento dei propri ideali). Altan, Scozzari, Pericoli & Pirella. Gerard Lauzier, il disincantato disegnatore delle Tranches de vie. L’altrove esotico ed esoterico di Corto Maltese (una volta, da più grande, Luigi si era ritrovato in un notturno veneziano che sembrava ritagliato giusto da una tavola di Hugo Pratt). Luigi sfoglia ancora un paio di vecchi numeri del giornalino. Sono ingialliti nella carta, verrebbe da dire nella carne. Le pagine appena più ruvide, come una pelle. La rubrica delle lettere è toccante, con il senno di poi. Quelle testimonianze a cuore aperto di oltranzisti della militanza. O di ex barricadieri in riflusso dopo John Travolta. E le incursioni nel cosiddetto privato (che tenerezza!). O la disperazione di chi piangeva gli amici lasciati sulla strada dell’eroina. Tutte voci di un’auto-analisi collettiva che perviene a coscienza solo ora, troppo tardi. Più in là, in un angolo della cassapanca, la mano ha scovato alcuni tubi porta-rotoli. Ci voleva la Blindatura per ricordarsene: queste locandine originali di film che le tivù considerano appestati. Ingmar Bergman, il manifesto di Persona. Attrici vibranti, piene di luce propria, come come Liv Ullman, Bibi Anderson. La bocca della prima che sfiora il collo reclinato – così abbandonato e bisognoso d’amore – della seconda...
Luigi srotola un’altra locandina. Il settimo sigillo. Il trecentesco cavaliere von Sidow che torna nell’infuriare di un’epidemia, anche allora. E inizia la sua partita a scacchi con una Morte dal volto cereo e molle. Quella danza macabra e allegorica, sul crinale della collina... E pensare che un borioso imbecille aveva pontificato: quello di Bergman era teatro e non cinema. Con un sospiro Luigi ricolloca le reliquie nella cassapanca. Anche sollevarsi e flettersi sulle ginocchia lo affatica, troppa sedentarietà. Si accascia sul divano, con un gemito delle molle senza più elasticità, come i suoi muscoli. Dopo il Blocco sarà difficoltoso darsi la spinta, rimettersi in movimento. Come da qualche tempo gli capita, Luigi finisce per vedersi come un limone sfruttato. Attingerà dai risparmi, per un po’. Cercherà di fare fronte e poi? Il limone non dà più molto succo; forse è passato da acerbo a rinsecchito, può succedere. Forse, nel suo piccolo, Luigi somiglia a questo Paese: senile e puerile. Senza più forze, dimentico di esperienza. Senza più una grandezza, fosse anche immaginaria.
I suoi albi riprendono aria e colori fuori da quest’arcacassone L’altrove esotico ed esoterico di Corto Maltese (una volta, da più grande, Luigi si era ritrovato in un notturno veneziano che sembrava ritagliato giusto da una tavola di Hugo Pratt)