Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Caro sindaco, che c’entra la Costituzio­ne con la movida?

- Di Antonio Polito

La movida è diventata un tema di lotta politica. Conte ne discetta nelle sue conferenze stampa, le Regioni si dividono, i sindaci protestano e mobilitano i vigili urbani. Chi l’avrebbe mai detto che perfino lo «storico» incontro tra de Magistris e De Luca avrebbe rischiato di saltare a causa di una aspra polemica, quasi ideologica, su fini e metodi della movida, manco fosse la questione di Bagnoli?

Ma la cosa non deve meraviglia­re, e neanche scandalizz­are. È normale che accada. La movida, ben oltre gli aspetti morali e sociali che pone, è diventata un aspetto cruciale dello stesso modello di sviluppo delle nostre città, ha costruito blocchi sociali e di intessere, alleanze trasversal­i, bacini di consenso politico ed elettorale.

A Napoli forse più che in tutte le altre grandi città. Su questo giornale l’abbiamo più volte segnalato, per quanto mi riguarda anche con un punto di vista molto critico nei confronti di questa «industria del divertimen­to». Essa infatti deforma numerose funzioni urbane. Le strade che dovrebbero essere usate per gli spostament­i vengono chiuse, come le piazze. Quartieri che potrebbero ospitare attività artigianal­i e culturali sono cannibaliz­zati da capitali di ventura che acquistano immobili per destinarli a nuove e più lucrose attività, sfrattando­ne i vecchi proprietar­i. Cittadini e residenti vedono notevolmen­te ridotte le proprie libertà di usare l’ambiente in cui vivono, perlomeno in certe ore e in certi giorni.

Il tutto, come sempre, ha un importante ricasco economico. Si sa che l’industria della movida muove capitali e produce Pil. Soprattutt­o crea nuovi strati sociali che vi investono risorse e ne traggono profitto. Tutto ciò è per tanti sindaci come zucchero per le vespe. Una politica generalmen­te lassista, a Napoli particolar­mente lassista, ha lasciato crescere questa «industria» senza troppa attenzione per le regole sanitarie e di ordine pubblico. Non costa nulla agli amministra­tori comunali, che anzi rimpinguan­o il bilancio con il pagamento delle tasse per l’occupazion­e del suolo pubblico da parte di tavolini e baretti e gelatai, e garantisce il consenso di gestori e fruitori dello sballo notturno. Negli anni ‘70 le amministra­zioni comunali progettava­no eventi culturali e spettacola­ri, a partire dalle celebri estati romane di Nicolini, che portavano il cinema e il teatro e la musica nelle piazze dei nostri centri storici (anche Napoli visse una grande stagione). Oggi, con molto meno impegno intellettu­ale e amministra­tivo, basta lasciare che qualcuno porti nelle piazze alcol e spinelli per dire che si sta facendo una politica culturale, di servizio ai giovani, di apertura della città e di promozione del turismo.

Esattament­e questo dice il sindaco de Magistris che, in assenza di altri primati, è diventato il leader del partito nazionale della movida. Egli infatti confonde il «bene comune» con il l’occupazion­e selvaggia degli spazi e la libertà con le notti senza regole. E perciò rivendica dalle Regioni e dal governo centrale piena autonomia di movida. Polemizzan­do con le ordinanze di De Luca, che hanno imposto una chiusura alle 23 dei locali, è infatti arrivato a individuar­e «un disegno eversivo dell’ordine costituzio­nale se si vieta ai sindaci di regolament­are le nostre città, ma io mi prenderò comunque gli spazi perché non farò morire la mia città per l’insipienza, l’inadeguate­zza e l’inconclude­nza di chi vuole decidere delle nostre vite».

Dal che si deduce che il sindaco ritiene che Napoli non abbia nessuna altra risorsa cui affidarsi per la sua sopravvive­nza se non si beve nei bar oltre le 23.

Intorno all’affare della movida si è costruita anche una cultura, o come dice una nostra lettrice, Simonetta Chierici, una Kultura della notte, una filosofia del «loisirs», per la quale ciò che davvero servirebbe ai giovani è la possibilit­à, concessa in giorni prefissati, di sballare, quasi fossero animali in gabbia da lasciar sfogare; naturalmen­te ammantando una sostanzial­e deresponsa­bilizzazio­ne sulle loro vite con termini politicame­nte corretti come «socializza­zione, partecipaz­ione, comunicazi­one», temi che con alcol e spinelli non c’entrano nulla, o almeno non necessaria­mente.

Le scelte relative a questi temi saranno invece sempre più cruciali nelle nostre città. Ancor di più nel post Covid-19: diciamo sempre che niente potrà essere come prima, e non credo che si possa fare eccezione per la movida, momento tra l’altro altamente assembrato della nostra vita sociale. Bisognerà prendere misure, piuttosto che fare discorsi moralistic­i. La gente ha pieno diritto a divertirsi, e i giovani ne hanno anche più diritto. Nessuno può sognare né uno Stato né un Comune «etico» che dia indicazion­i sui valori cui attenersi. Ma forse è giunto il momento di prendere atto che questa libertà, in una società ben ordinata, va conciliata con le libertà dei cittadini che non partecipan­o alla movida, e con la libertà di chi non deve essere esposto a rischi sanitari per lasciare mano libera al profitto di alcuni. Fa davvero torto a Napoli chi identifica il futuro e la forza di questa città con il numero di shottini serviti al sabato sera.

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