Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lo stocco arrecanato, un piatto da Principe
Gian Marco Carli: «Racconta la tradizione vesuviana» IN CUCINA SI RIPARTE
Gian Marco Carli riaprirà «Il Principe», gestito con successo per tre decenni a Pompei dal padre Marco e dalla mamma Pina, giovedì prossimo, 28 maggio.
È più forte la voglia di riprendere o la paura di fare un salto nel vuoto?
«Le rispondo da chef e da imprenditore. Lo chef ha tanta voglia di tornare al lavoro, l’imprenditore analizza i numeri. I turisti che rappresentano il 50 per cento del fatturato sono spariti. Il catering e i banchetti che rappresentano il 30 pure sono fermi. Per il momento potremo contare solo sui clienti locali».
Pompei è una realtà molto particolare.
«Sì, è una macchina tarata per reggere l’urto di 6 milioni di presenza all’anno. Ospita circa 400 attività di somministrazione, tra bar, ristoranti e pizzerie. Il mio mercato di riferimento è dunque saturo per eccesso di offerta di fronte a una drastica contrazione della domanda».
Cosa cambierà?
«Continueremo per la nostra strada, cercando, menu dopo menu, di aggiungere un tassello in più. In quello nuovo riprendo il filone della cucina degli antichi romani, caro ai miei genitori. Aggiungerò un piatto di 2 mila anni fa.
Ci anticipa di che si tratta?
«Lagane di farro con ceci di Cicerale in più consistenze, limone nero fermentato, salsa alle ortiche e chiodi di garofano».
I romani usavano il limone fermentato?
«In realtà è stato acquisito dalla romanità durante le guerre contro i Parti. Originariamente
era infatti utilizzato nell'antica Persia».
Una riflessione maturata nei giorni della clausura?
«Proiettandomi in un futuro non prossimo, ma neanche troppo lontano, immagino di varare una settimana lavorativa corta per ridurre lo stress. Gli Scandinavi lo hanno già capito».
Corta quanto?
«Cinque giorni a settimana potrebbero rappresentare già un buon equilibrio. Ma se ne parlerà in seguito. Quello che è successo ci impone ora di non mollare il ponte di comando nemmeno per un giorno».
Come definirebbe la sua cucina?
«Genuina, spontanea, estremamente legata alla tradizione. Anche istintiva. Spesso elaboro in mente mia abbinamenti che poi trasferisco nella pratica: dall’universale al particolare»
Vantaggi e svantaggi di essere figli d’arte?
«Sicuramente avere un pregresso importante aiuta. D’altro canto, non riesci sempre a giocare in scioltezza».
La lezione dei genitori? «La perseveranza».
Cosa sceglie quando va al ristorante?
«Non avendo particolari prevenzioni o intolleranze, ai colleghi mi affido totalmente. In un locale che non è di un amico cerco di scegliere quello che io non cucino».
I tuoi maestri?
«Oltre ai miei, fondamentale nella mia formazione è stato Alfonso Iaccarino». Cosa ricorda di Veronelli? «Non ho ricordi nitidi. Quando lui veniva al Principe io ero veramente un bambino. Ma mio padre me lo ha sempre descritto come persona onesta e piena di sapere».
Il piatto per i lettori?
«Lo stoccafisso arrecanato, un piatto di famiglia, rappresentativo dell’intera area vesuviana. Personalmente sono tomato addicted (dipendente dal pomodoro, ndr)».