Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Massimiliano e Doriana Fuksas: noi, pronti ad aiutare il Cotugno
«Siamo stati costretti a cambiare. Fino a poco fa parlavamo tutti di innovazione, di trasformazioni sociali e tecnologiche, ma il processo era lento. Con il lockdown c’è stata una spinta verso una nuova, necessaria organizzazione. In tutto: lavoro, contatti con il mondo esterno, perfino negli affetti».
Massimiliano e Doriana Fuksas hanno vissuto la quarantena in Toscana, nella loro casa nel Chianti, immersi nella natura: «Qui non ti rendi neanche conto della pandemia. Ci siamo trovati in Toscana agli inizi di marzo e siamo rimasti bloccati, ci è andata più che bene. Ma anche se si trattava di un isolamento dorato, quando abbiamo visto in televisione le notizie, le immagini, i medici con scarse protezioni, i posti di pronto soccorso dei vari ospedali invasi dai malati, eccetera, abbiamo iniziato a riflettere su come sono organizzati gli ospedali e abbiamo deciso di dare un contributo». Così è nato un gruppo di lavoro internazionale, con medici come Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute and the Cell Transplant Center of Miami, e Michele Gallucci, direttore della Clinica Urologica dell’Università La Sapienza di Roma, nonché architetti come Ramon Prat Homs e lo stesso Studio Fuksas. Il primo risultato è stata una lettera inviata al presidente Mattarella per offrire aiuto in questa eccezionale circostanza.
«L’emergenza prodotta dalla pandemia ha evidenziato la nostra impreparazione ad affrontare
Ci vogliono spazi comuni con utilizzo versatile In caso di necessità può essere anche un luogo di first aid o di bisogni condivisi
Anche la metropolitana va ripensata per esempio nelle entrate e nelle uscite oppure negli impianti di areazione
eventi simili», si legge nel documento. «È evidente che fino ad oggi, non si è pensato ad alcun modello alternativo di abitazione che tenesse in conto di tali eventualità, attrezzando i nostri appartamenti con i minimi strumenti utili ad individuare il nostro stato di salute». Ecco quindi delinearsi un nuovo modo di abitare. E anche di organizzare gli spazi ospedalieri. «Ci ha chiamato l’assessore della Sanità del Lazio», raccontano Massimiliano e Doriana Fuksas, «per dare una mano allo Spallanzani. Ci è sembrato molto bello, ci ha fatto sentire utili e ci siamo messi al lavoro. Anzi, ci piacerebbe aiutare anche il Cotugno di Napoli, un ospedale eccezionale. Se ci chiamano veniamo subito e gli portiamo anche la cena...».
Tornando al modo di abitare, come immaginano i Fuksas la casa del post Coronavirus? «Va ripensata radicalmente. Intanto deve esserci un luogo di first aid già a casa. Nei condomini andrebbe realizzato, come spesso già accade in Francia e in Usa, un piano da tenere libero, per usi flessibili, dallo smart working allo smart learning. Un luogo in cui lavorare e socializzare, uno spazio comune da condividere con gi altri. Il lungo periodo di lockdown ha reso tangibili comportamenti sui quali non avevamo riflettuto. Un piano libero e flessibile può anche trasformarsi in luogo di primo soccorso e di isolamento».
Eppure mai come in questo momento, la pandemia ha esasperato le disuguaglianze. Già solo per il fatto che chi vive in una casa minuscola non è certo agevolato nella quarantena. «Noi ci riferiamo a una classe media. Ma è chiaro che in Italia esiste un problema abitativo. Fanfani nel dopoguerra utilizzò una sorta di piano Marshall per le case, ma da allora non c’è stato mai più niente di simile. Ci vuole un piano generalizzato per tutto il paese.
Dopo l’Ina Casa ci sono stati esperimenti falliti, i prototipi del disastro sociale delle periferie italiane, dallo Zen al Corviale, passando per le Vele. Non funziona la casa fabbrica, il grande scatolone. Ma la casa è una priorità al pari della sanità». Certo, a Napoli la quarantena nei «bassi» non è stata facile... «A Napoli ci sono tante aree post industriali. Bisognerebbe chiedersi: le persone ci possono vivere? In che modo? E mettere insieme a lavorare tante professionalità diverse, dal sociologo al geriatra. Bisogna creare dei gruppi interdisciplinari. L’errore di questa fase è proprio quella di non condividere i saperi, di non lavorare tutti insieme. Anche il politico non è un nemico, ma va sostenuto con un cambiamento innovativo
dei sistemi sociali, della burocrazia». E il desiderio di campagna, di spazi aperti che molti hanno manifestato in questo periodo? «Non si può immaginare una deportazione in campagna, oltretutto servono infrastrutture per collegare il paese. I trasporti sono fondamentali». E la vostra stazione della metropolitana di Napoli, quella di piazza Nicola Amore? «Anche la metro va ripensata nei sistemi di entrata e di uscita, nell’areazione e così via». L’Italia ce la farà? «Si parla sempre delle eccellenze italiane, che esistono davvero e vengono tirate in ballo quando non si sa più che dire. Ma non ci si può basare solo su questo. Serve un sistema che faccia rete. Come stiamo facendo noi».