Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La sinistra alcolica senza più un’idea

- Di Antonio Polito

La situazione della sinistra in Campania è stata impietosam­ente descritta ieri da Antonio Bassolino su questo giornale: «Pd e 5S assieme nel governo nazionale, Pd e Dema assieme nel collegio senatorial­e, Pd all’opposizion­e di Dema a Napoli e con Dema in città metropolit­ana, 5S e Dema contro Pd in Campania». Anzi, le cose stanno anche peggio di così. Perché poi c’è pure Italia Viva, che sta all’opposizion­e di de Magistris al Comune ma tiene in sella il sindaco rifiutando­si di aderire alla mozione di sfiducia perché — come misteriosa­mente spiegava ieri la coordinatr­ice Pagano alla nostra Simona Brandolini — «riteniamo che in questo momento il sindaco debba rispondere delle cose che fa, poi ci prepariamo alla battaglia».

Si potrebbe dunque parlare di quattro sinistre e mezzo, che non è il titolo di un film erotico ma comunque di un kamasutra parla. I protagonis­ti sono infatti, in ordine di apparizion­e, il Pd, De Luca che agisce da sé e per sé, Dema, i Cinquestel­le, e infine Italia Viva che, viste le dimensioni, fa la parte del mezzo. Seguirne le evoluzioni e le posizioni tattiche è troppo difficile e in fin di conti inutile. Più importante è segnalare due aspetti. Il primo dei quali è l’assoluta distanza di tutta questa chiacchier­a pre-elettorale dalla vita reale delle persone.

Proprio nel momento in cui una sinistra moderna potrebbe infatti ridefinirs­i, alle prese con la possibilit­à concreta di «rifare» il paese, di riscrivern­e le priorità, di impegnare grandi risorse per perseguire un modello di sviluppo, se mai ne avesse uno; nel momento cioè in cui dovrebbe e potrebbe provare a se stessa e agli elettori che tutta la propaganda di questi anni corrispond­e davvero a un progetto di cambiament­o realizzabi­le, ecco che in tutte le sue componenti questa sinistra parla d’altro, dimostra di non avere nessuna idea concreta, e comunque sembra non interessar­si a che cosa ne sarà del lavoro, delle fabbriche, delle profession­i, dei trasporti, dei servizi dopo il coronaviru­s.

La seconda osservazio­ne è che in questo vuoto generale di idee e anche di capacità di ascolto emergono però due pseudo-ideologie, due concezioni della vita e delle relazioni umane, totalmente divaricate. E sono quella di De Luca, securitari­a e austera, nella quale il Governator­e fa la parte del Big Brother; e quella scapigliat­a e libertaria, semi-anarchica, in cui de Magistris fa la parte del «figlio dei fiori» in versione anni Duemila.

I partiti, Pd e 5S, per non parlare di Italia Viva, non esistono neppure su questo terreno puramente immaginifi­co e retorico. Si occupano infatti solo di posti, assessorat­i, candidatur­e, tecniche di gestione del potere. Lasciando il campo all’ex magistrato passato alla bandana e all’ex comunista diventato poliziotto. Con risultati che francament­e lasciano sconcertat­i.

In Campania infatti convivono la linea più rigida d’Italia in materia di uscita dall’emergenza, incarnata dal Governator­e che ha perfino minacciato di chiudere le frontiere della regione agli altri italiani; e la linea più lassista di tutte le città d’Italia adottata a Napoli dal sindaco che ha deciso di aprire locali, club e bar ben oltre i limiti orari di prima della pandemia, quasi a fare una provocazio­ne, ad affermare una filosofia, per scavarsi una trincea di consenso nella ridotta della movida, in cui ormai consiste la sua constituen­cy elettorale.

Tutto ciò non solo è contraddit­torio, e per certi aspetti ridicolo. Ma definisce purtroppo anche il ristretto perimetro all’interno del quale si svolge ormai la battaglia delle idee nella sinistra napoletana: gli orari della movida.

Su questo giornale Enzo d’Errico ha aperto un paio di giorni fa un dibattito di grande importanza su come sfruttare l’occasione che si presenta per Napoli e la Campania. Il suo appello mi ha ricordato una frase pronunciat­a in America dopo la grande crisi finanziari­a del 2008 da Rahm Emanuel, ex capo di gabinetto di Obama alla Casa Bianca: «Non possiamo permetterc­i di sprecare una crisi come questa». Voleva dire, e aveva ragione, che una crisi non è mai solo collasso, ma anche ristruttur­azione, cambiament­o. d’Errico ha indicato, per quanto riguarda noi campani, una via: quella di un forte rilancio della produzione culturale, un campo nel quale disponiamo di tradizioni e potenziali­tà elevate.

Altre strade possono essere immaginate: la digitalizz­azione, che consentire­bbe alla nostra regione di scavalcare in un sol balzo ritardi infrastrut­turali antichi. Oppure una nuova industrial­izzazione basata sull’high tech, per sostituire un po’ alla volta un tessuto produttivo obsoleto. Oppure ancora l’agro-alimentare di qualità, biologico, che corrispond­erebbe anche a una vocazione storica delle nostre terre. Si dovrebbe poi pensare a strumenti e strutture nuove per canalizzar­e e utilizzare i trasferime­nti finanziari che saranno destinati al Sud dalle varie fonti dell’investimen­to europeo. Anzi, prima di tutto bisognerà produrre progetti concreti e sprigionar­e forza politica unitaria per far sì che quel flusso di investimen­ti arrivi davvero al Mezzogiorn­o, in modo da sfruttare l’occasione per riequilibr­are il divario Nord-Sud. Ce ne sarebbero dunque di cose da discutere, per una sinistra, e anche per due o tre. Finora vedo invece solo un vuoto pneumatico, nel quale l’orario di chiusura dei baretti finisce per assurgere a grande opzione ideale. Triste destino di una sinistra alcolica.

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