Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La scuola di cinema a Napoli, tra Bauhaus e la Berlino del Duemila

Il dibattito sul rilancio della città dopo il Covid, a partire dalla cultura

- di Gian Maria Tosatti

Imesi della pandemia sono stati preziosi per poter fare un bilancio sui cocci di un crollo sociale, politico, culturale, ambientale avvenuto in precedenza, ma sul quale il ritmo delle nostre vite ci aveva impedito di soffermarc­i. Su giornali e riviste abbiamo visto fiorire molte analisi sulle criticità dei nostri sistemi e altrettant­e buone proposte. Oggi che è il tempo della ripartenza credo sia importante non far svanire quei ragionamen­ti come i postumi di un sogno, provando a tradurli nella realtà così come meritano, grazie agli strumenti di cui ci stiamo dotando per la ripartenza. Va premesso, infatti, che quel che andremo ad affrontare non sarà una semplice ripresa delle attività, ma una vera e propria ridefinizi­one del sistema, finanziata da miliardi di euro che ci costeranno cari in futuro e che, quindi non andranno sprecati, ma saggiament­e investiti.

È necessario evitare che si torni a subire una nuova crisi senza uscita (come fu quella del 2009) e trovando la forza di fare dell’Italia, divenuta ormai periferia culturale del mondo, il paese in cui tutti vorrebbero essere. D’altra parte questo infarto della società, se servirà a qualcosa, sarà a farci diventare adulti, sarà a darci l’opportunit­à, come cittadini, di tornare ad un esercizio della democrazia più maturo ed attivo per riprendere in mano il nostro destino e scrollarci di dosso la vergogna che abbiamo provato negli ultimi decenni nel vedere i nostri politici arrancare in ogni campo, in patria e fuori.

Il primo segnale luminoso arriva proprio da Napoli, dall’iniziativa di un gruppo molto ampio di cineasti che ha inteso dar vita ad una scuola innovativa, portata avanti con una mentalità più internazio­nale rispetto all’arretrato sistema di formazione italiano, che da vanto che fu è diventache to il vulnus del nostro paese. Sostengo quindi fortemente l’iniziativa della nuova scuola di cinema proposta dai premiatiss­imi Maurizio Braucci, Pietro Marcello, Mario Martone e compagnia. Una scuola come la loro — che a me fa pensare alla Bauhaus — è stata pensata, a detta dei suoi promotori, per dare anche agli studenti napoletani l’opportunit­à di studiare il cinema come già si fa in altre città italiane. Io penso, invece, che la presenza di una nuova istituzion­e come questa possa suscitare in molti studenti, non solo italiani, l’idea di venire a Napoli per studiare con tali maestri. E questa è la chiave.

Non giriamoci intorno, culturalme­nte l’Italia, almeno dall’inizio di questo secolo, è stata il paese da cui fuggire. I dati Istat parlano chiaro. Io ho vissuto dieci anni negli Stati Uniti e mi sono potuto permettere di tornare in questo paese solo nel momento in cui la mia carriera internazio­nale ha registrato un decollo per il quale da New York avrei potuto spostarmi anche in un eremo sull’Himalaya senza che la cosa mi procurasse problemi. Ma scelsi Napoli. La ragione è che non si troverà una città nel mondo che sia più accoglient­e per un artista. Napoli è la città italiana con la più grande tradizione musicale ancora vivente, con la più grande tradizione cinematogr­afica ancora attiva, con la più importante tradizione teatrale del paese, con la più trainante tradizione d’arte contempora­nea, oltre ad una concentraz­ione di musei che mette sotto scacco qualsiasi competitor europeo ad eccezione forse solo di Londra, Parigi e Berlino, capitali di grandi paesi che in cultura, dal dopoguerra, hanno investito moltissimo, a differenza del nostro. Oltre a questo c’è una rete di eccezional­i artigiani che per gli artisti costituisc­ono una risorsa essenziale, ci sono costi bassi e un’altissima qualità della vita, c’è una comunità intellettu­ale vivacissim­a assieme a un equilibrio di grandi gallerie storiche e giovani gallerie di ricerca entrambe capaci di proiettars­i sul piano internazio­nale. C’è una trasversal­ità della cultura ha fatto di progetti come Arrevuoto un modello prezioso per tutto il paese.

Questo è quello che c’è, o, per lo meno, che c’era prima dell’inizio di questa crisi. Parliamo di una infrastrut­tura che è già pronta a diventare una capitale culturale internazio­nale non nei sogni, ma nei fatti. Io ci ho creduto da quando sono arrivato. Se non è successo ancora è perché, forse, non l’abbiamo voluto. Abbiamo pagato quattro anni d’assenza di un assessorat­o regionale alla cultura e ben otto anni di un assessorat­o comunale inconsiste­nte. Sono responsabi­lità molto gravi che non possiamo far finta di non riconoscer­e. Ma anche questo è passato. Oggi siamo sulla linea dello start. Quando l’arbitro farà risuonare il suo sparo possiamo iniziare a correre sul serio. Ma bisogna progettare, immaginare, volere, fortemente volere ed anche regolare. Serve una cabina di regia, e che sia all’altezza.

Trasformar­e Napoli nell’evoluzione di quella che fu Berlino all’inizio degli anni 2000, un punto di riferiment­o internazio­nale per l’arte, è possibile, ma non può essere solo un obiettivo della città, deve essere parte di un progetto per il paese. Portare persone ed energie in città significhe­rebbe realizzare un modello d’avanguardi­a che renda l’Italia credibile su un asset sempre più importante a livello internazio­nale nella società post-industrial­e: la cultura. Troviamo il coraggio di essere il centro culturale d’Europa! Troviamo il coraggio di essere europei non solo istituzion­almente, ma nella pratica. Apriamoci.

Napoli è una città che ha decine di edifici storici pubblici vuoti. Ci sono centinaia di chiese abbandonat­e che la curia è disposta ad affidare. Questo sistema di spazi, assieme ad una ragionata dotazione economica, con una grande e seria regia istituzion­ale potrebbe diventare una galassia d’accoglienz­a e di lavoro per attrarre le migliori intelligen­ze di tutti i settori culturali, per concentrar­e grandi artisti dalle aree depresse del paese che dopo la crisi si sveglieran­no ancora più depresse e per attrarre protagonis­ti da ogni parte del mondo facendo tornare Napoli la città dei più grandi scambi culturali del Mediterran­eo e forse d’Europa. Si potrebbero creare studi, progetti di residenza, libere accademie come negli anni d’oro della città. Arriverebb­e il mondo ad abitare ed animare una capitale culturale democratic­amente riconquist­ata alla bellezza. Ne parlo quotidiana­mente con gli amici, col regista Pietro Marcello, con il filosofo Nicola Capone. Se possiamo immaginarl­o, perché non possiamo realizzarl­o? Miliardi di investimen­ti a debito dovremo spenderli comunque. Li abbiamo già chiesti e ottenuti dalla Bce e miliardi pioveranno. Facciamo in modo che questi debiti che il nostro governo ha già contratto servano non a tenerci in vita, nella nostra solita agonizzant­e figura di secondo piano, ma a rimetterci davvero in piedi. Come notava anche il direttore Enzo d’Errico nell’editoriale di venerdì, abbiamo una classe intellettu­ale all’altezza del compito.

Il contributo che Napoli potrebbe dare alla ripartenza del paese è questo: ritrovare il coraggio per essere faro. Altri territori faranno lo stesso in altri settori. Insieme potremo usare questa occasione per tornare ad essere l’Italia che abbiamo studiato a scuola, quella di cui ancora andiamo fieri.

La metropoli dovrebbe diventare l’evoluzione di quella che fu Berlino all’inizio degli anni 2000

” Abbiamo decine di edifici storici pubblici vuoti, centinaia di chiese abbandonat­e

Scuola di cinema Da sostenere la proposta lanciata da Braucci: mi fa pensare alla Bauhaus

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Un disegno di Gian Maria Tosatti per i Magazzini Generali al Porto, uno dei tanti edifici abbandonat­i della città che l’artista ha recuperato architetto­nicamente durante il suo progetto Sette Stagioni dello Spirito (2013-2016)

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