Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La scuola di cinema a Napoli, tra Bauhaus e la Berlino del Duemila
Il dibattito sul rilancio della città dopo il Covid, a partire dalla cultura
Imesi della pandemia sono stati preziosi per poter fare un bilancio sui cocci di un crollo sociale, politico, culturale, ambientale avvenuto in precedenza, ma sul quale il ritmo delle nostre vite ci aveva impedito di soffermarci. Su giornali e riviste abbiamo visto fiorire molte analisi sulle criticità dei nostri sistemi e altrettante buone proposte. Oggi che è il tempo della ripartenza credo sia importante non far svanire quei ragionamenti come i postumi di un sogno, provando a tradurli nella realtà così come meritano, grazie agli strumenti di cui ci stiamo dotando per la ripartenza. Va premesso, infatti, che quel che andremo ad affrontare non sarà una semplice ripresa delle attività, ma una vera e propria ridefinizione del sistema, finanziata da miliardi di euro che ci costeranno cari in futuro e che, quindi non andranno sprecati, ma saggiamente investiti.
È necessario evitare che si torni a subire una nuova crisi senza uscita (come fu quella del 2009) e trovando la forza di fare dell’Italia, divenuta ormai periferia culturale del mondo, il paese in cui tutti vorrebbero essere. D’altra parte questo infarto della società, se servirà a qualcosa, sarà a farci diventare adulti, sarà a darci l’opportunità, come cittadini, di tornare ad un esercizio della democrazia più maturo ed attivo per riprendere in mano il nostro destino e scrollarci di dosso la vergogna che abbiamo provato negli ultimi decenni nel vedere i nostri politici arrancare in ogni campo, in patria e fuori.
Il primo segnale luminoso arriva proprio da Napoli, dall’iniziativa di un gruppo molto ampio di cineasti che ha inteso dar vita ad una scuola innovativa, portata avanti con una mentalità più internazionale rispetto all’arretrato sistema di formazione italiano, che da vanto che fu è diventache to il vulnus del nostro paese. Sostengo quindi fortemente l’iniziativa della nuova scuola di cinema proposta dai premiatissimi Maurizio Braucci, Pietro Marcello, Mario Martone e compagnia. Una scuola come la loro — che a me fa pensare alla Bauhaus — è stata pensata, a detta dei suoi promotori, per dare anche agli studenti napoletani l’opportunità di studiare il cinema come già si fa in altre città italiane. Io penso, invece, che la presenza di una nuova istituzione come questa possa suscitare in molti studenti, non solo italiani, l’idea di venire a Napoli per studiare con tali maestri. E questa è la chiave.
Non giriamoci intorno, culturalmente l’Italia, almeno dall’inizio di questo secolo, è stata il paese da cui fuggire. I dati Istat parlano chiaro. Io ho vissuto dieci anni negli Stati Uniti e mi sono potuto permettere di tornare in questo paese solo nel momento in cui la mia carriera internazionale ha registrato un decollo per il quale da New York avrei potuto spostarmi anche in un eremo sull’Himalaya senza che la cosa mi procurasse problemi. Ma scelsi Napoli. La ragione è che non si troverà una città nel mondo che sia più accogliente per un artista. Napoli è la città italiana con la più grande tradizione musicale ancora vivente, con la più grande tradizione cinematografica ancora attiva, con la più importante tradizione teatrale del paese, con la più trainante tradizione d’arte contemporanea, oltre ad una concentrazione di musei che mette sotto scacco qualsiasi competitor europeo ad eccezione forse solo di Londra, Parigi e Berlino, capitali di grandi paesi che in cultura, dal dopoguerra, hanno investito moltissimo, a differenza del nostro. Oltre a questo c’è una rete di eccezionali artigiani che per gli artisti costituiscono una risorsa essenziale, ci sono costi bassi e un’altissima qualità della vita, c’è una comunità intellettuale vivacissima assieme a un equilibrio di grandi gallerie storiche e giovani gallerie di ricerca entrambe capaci di proiettarsi sul piano internazionale. C’è una trasversalità della cultura ha fatto di progetti come Arrevuoto un modello prezioso per tutto il paese.
Questo è quello che c’è, o, per lo meno, che c’era prima dell’inizio di questa crisi. Parliamo di una infrastruttura che è già pronta a diventare una capitale culturale internazionale non nei sogni, ma nei fatti. Io ci ho creduto da quando sono arrivato. Se non è successo ancora è perché, forse, non l’abbiamo voluto. Abbiamo pagato quattro anni d’assenza di un assessorato regionale alla cultura e ben otto anni di un assessorato comunale inconsistente. Sono responsabilità molto gravi che non possiamo far finta di non riconoscere. Ma anche questo è passato. Oggi siamo sulla linea dello start. Quando l’arbitro farà risuonare il suo sparo possiamo iniziare a correre sul serio. Ma bisogna progettare, immaginare, volere, fortemente volere ed anche regolare. Serve una cabina di regia, e che sia all’altezza.
Trasformare Napoli nell’evoluzione di quella che fu Berlino all’inizio degli anni 2000, un punto di riferimento internazionale per l’arte, è possibile, ma non può essere solo un obiettivo della città, deve essere parte di un progetto per il paese. Portare persone ed energie in città significherebbe realizzare un modello d’avanguardia che renda l’Italia credibile su un asset sempre più importante a livello internazionale nella società post-industriale: la cultura. Troviamo il coraggio di essere il centro culturale d’Europa! Troviamo il coraggio di essere europei non solo istituzionalmente, ma nella pratica. Apriamoci.
Napoli è una città che ha decine di edifici storici pubblici vuoti. Ci sono centinaia di chiese abbandonate che la curia è disposta ad affidare. Questo sistema di spazi, assieme ad una ragionata dotazione economica, con una grande e seria regia istituzionale potrebbe diventare una galassia d’accoglienza e di lavoro per attrarre le migliori intelligenze di tutti i settori culturali, per concentrare grandi artisti dalle aree depresse del paese che dopo la crisi si sveglieranno ancora più depresse e per attrarre protagonisti da ogni parte del mondo facendo tornare Napoli la città dei più grandi scambi culturali del Mediterraneo e forse d’Europa. Si potrebbero creare studi, progetti di residenza, libere accademie come negli anni d’oro della città. Arriverebbe il mondo ad abitare ed animare una capitale culturale democraticamente riconquistata alla bellezza. Ne parlo quotidianamente con gli amici, col regista Pietro Marcello, con il filosofo Nicola Capone. Se possiamo immaginarlo, perché non possiamo realizzarlo? Miliardi di investimenti a debito dovremo spenderli comunque. Li abbiamo già chiesti e ottenuti dalla Bce e miliardi pioveranno. Facciamo in modo che questi debiti che il nostro governo ha già contratto servano non a tenerci in vita, nella nostra solita agonizzante figura di secondo piano, ma a rimetterci davvero in piedi. Come notava anche il direttore Enzo d’Errico nell’editoriale di venerdì, abbiamo una classe intellettuale all’altezza del compito.
Il contributo che Napoli potrebbe dare alla ripartenza del paese è questo: ritrovare il coraggio per essere faro. Altri territori faranno lo stesso in altri settori. Insieme potremo usare questa occasione per tornare ad essere l’Italia che abbiamo studiato a scuola, quella di cui ancora andiamo fieri.
La metropoli dovrebbe diventare l’evoluzione di quella che fu Berlino all’inizio degli anni 2000
” Abbiamo decine di edifici storici pubblici vuoti, centinaia di chiese abbandonate
Scuola di cinema Da sostenere la proposta lanciata da Braucci: mi fa pensare alla Bauhaus