Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’opportunità di investire nella cultura
Giorni fa il Distretto Aerospaziale della Campania e la società Telespazio hanno presentato un progetto denominato Mistral. Coinvolge dieci imprese spaziali attive in Campania.
Oltre le università Federico II e Parthenope, il Cnr, l’Enea e s’avvale d’un finanziamento della Regione per produrre quello che viene definito un «micro satellite intelligente»: si sgancia da un aereo in volo, va in orbita e torna a terra dopo aver effettuato missioni per istituzioni pubbliche e per privati. La notizia non ha avuto molta risonanza. A me sembra significativa per più motivi.
È anzitutto apprezzabile che in Campania industrie e istituti scientifici progettino insieme qualcosa che fortemente innova sul piano tecnologico, e che la Regione contribuisca. Non so quali impatti produttivi ed economici questo Mistral potrà offrire. Mi pare comunque una nota positiva nel panorama di industrie declinanti o morenti che caratterizza la regione. Nel 1981 le imprese manifatturiere assorbivano in Campania 290mila lavoratori; nel 2011 solo 153.374. Una decrescita infelice.
La pandemia peggiora la congiuntura dell’intero Paese; la rende drammatica al Sud. La scorsa settimana il governatore della Banca d’Italia Visco ha fornito cifre impietose: entro l’anno quasi un milione di disoccupati in più e un calo del Pil del 13 per cento. Il presidente di Confcommercio Sangalli prevede un crollo dei consumi pari al 70 per cento. La strada del risanamento si preannunzia lunga, anche se il ministro Franceschini paragona ad un jackpot vinto dall’Italia l’insieme degli stanziamenti disposti dal governo e i promessi fondi europei. Troppe sono le categorie che la crisi priva di lavoro e reddito. L’emergenza sociale spinge tanti a manifestare nelle piazze disagio e sofferenze; dallo spontaneismo si passa a proteste organizzate. Né paiono in grado di contenerle le molte forme di sussidi finora predisposte. Il governatore Visco avverte: non si potrà continuare così. Il presidente di Confindustria Bonomi paventa chiusure di aziende e lamenta che nulla s’è fatto per il Sud. Occorrono misure che riattivino il circuito economico. Il premier Conte annuncia sostegni alle industrie, allo sviluppo di tecnologie, a miglioramenti ambientali, alla rete delle infrastrutture, all’istruzione, snellimenti della burocrazia. Di tutto e di più. Come, quando?
Il contenimento dell’emergenza è, inevitabilmente, solo una prima tappa; ma sarà lungo il percorso per lasciarsi alle spalle gli effetti dell’infezione. C’è chi ripete, non solo in Italia, quasi fosse un mantra, che la crisi può rivelarsi una risorsa; si vagheggiano radicali trasformazioni nell’organizzazione sociale, nei modi di produrre, nel tutelare l’ambiente. Come contraddire chi anela ad un mondo più equo e vivibile? Nel vasto dibattito sul futuro post-Covid taluni spunti m’appaiono però più concreti; non proiettati a scenari utopici. Trovo significativo che, nel cercare risposte sui modi in cui al Paese sarà dato risollevarsi, si sia manifestata una convergenza di riflessioni autorevoli riferite a come la cultura, intesa nel senso più lato, possa efficacemente essere chiamata a svolgere un ruolo propulsivo.
Attento a Napoli il direttore di questo giornale Enzo d’Errico ha menzionato iniziative come la Scuola superiore universitaria, il centro di formazione cinematografica, il polo tecnologico, i musei: concentrazioni di eccellenze umanistiche, di spettacolo, di tecnologie (aggiungo l’esempio del Mistral). Purché non vengano trasformati in scatole vuote, ritiene che possano rivelarsi incubatori di future classi dirigenti meridionali. Già, la classe dirigente. Ma c’è una politica, sia a scala nazionale che a quella delle realtà locali, davvero disposta a concentrare grandi risorse in istruzione, formazione, ricerca scientifica investendo nel futuro del Paese? Se lo chiede Angelo Panebianco (Corriere della sera, 29 maggio); e se ne mostra scettico.
Dubita che una classe politica quale quella che ci ritroviamo sia capace di favorire uno scatto culturale che renda negli anni più preparata e produttiva la comunità nazionale. Mi vien da aggiungere: se ci sono eletti ed elettori che credono davvero allo slogan «uno vale uno», sarà difficile aspettarsi massicci investimenti di risorse per elevare il livello generale delle conoscenze attraverso una istruzione di qualità, e spingere i più meritevoli a contribuire alla crescita di tutti i settori e lavori (anche in politica) in grado di assicurare una migliore qualità della vita di tutti.