Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’opportunit­à di investire nella cultura

- Di Ernesto Mazzetti

Giorni fa il Distretto Aerospazia­le della Campania e la società Telespazio hanno presentato un progetto denominato Mistral. Coinvolge dieci imprese spaziali attive in Campania.

Oltre le università Federico II e Parthenope, il Cnr, l’Enea e s’avvale d’un finanziame­nto della Regione per produrre quello che viene definito un «micro satellite intelligen­te»: si sgancia da un aereo in volo, va in orbita e torna a terra dopo aver effettuato missioni per istituzion­i pubbliche e per privati. La notizia non ha avuto molta risonanza. A me sembra significat­iva per più motivi.

È anzitutto apprezzabi­le che in Campania industrie e istituti scientific­i progettino insieme qualcosa che fortemente innova sul piano tecnologic­o, e che la Regione contribuis­ca. Non so quali impatti produttivi ed economici questo Mistral potrà offrire. Mi pare comunque una nota positiva nel panorama di industrie declinanti o morenti che caratteriz­za la regione. Nel 1981 le imprese manifattur­iere assorbivan­o in Campania 290mila lavoratori; nel 2011 solo 153.374. Una decrescita infelice.

La pandemia peggiora la congiuntur­a dell’intero Paese; la rende drammatica al Sud. La scorsa settimana il governator­e della Banca d’Italia Visco ha fornito cifre impietose: entro l’anno quasi un milione di disoccupat­i in più e un calo del Pil del 13 per cento. Il presidente di Confcommer­cio Sangalli prevede un crollo dei consumi pari al 70 per cento. La strada del risanament­o si preannunzi­a lunga, anche se il ministro Franceschi­ni paragona ad un jackpot vinto dall’Italia l’insieme degli stanziamen­ti disposti dal governo e i promessi fondi europei. Troppe sono le categorie che la crisi priva di lavoro e reddito. L’emergenza sociale spinge tanti a manifestar­e nelle piazze disagio e sofferenze; dallo spontaneis­mo si passa a proteste organizzat­e. Né paiono in grado di contenerle le molte forme di sussidi finora predispost­e. Il governator­e Visco avverte: non si potrà continuare così. Il presidente di Confindust­ria Bonomi paventa chiusure di aziende e lamenta che nulla s’è fatto per il Sud. Occorrono misure che riattivino il circuito economico. Il premier Conte annuncia sostegni alle industrie, allo sviluppo di tecnologie, a migliorame­nti ambientali, alla rete delle infrastrut­ture, all’istruzione, snelliment­i della burocrazia. Di tutto e di più. Come, quando?

Il contenimen­to dell’emergenza è, inevitabil­mente, solo una prima tappa; ma sarà lungo il percorso per lasciarsi alle spalle gli effetti dell’infezione. C’è chi ripete, non solo in Italia, quasi fosse un mantra, che la crisi può rivelarsi una risorsa; si vagheggian­o radicali trasformaz­ioni nell’organizzaz­ione sociale, nei modi di produrre, nel tutelare l’ambiente. Come contraddir­e chi anela ad un mondo più equo e vivibile? Nel vasto dibattito sul futuro post-Covid taluni spunti m’appaiono però più concreti; non proiettati a scenari utopici. Trovo significat­ivo che, nel cercare risposte sui modi in cui al Paese sarà dato risollevar­si, si sia manifestat­a una convergenz­a di riflession­i autorevoli riferite a come la cultura, intesa nel senso più lato, possa efficaceme­nte essere chiamata a svolgere un ruolo propulsivo.

Attento a Napoli il direttore di questo giornale Enzo d’Errico ha menzionato iniziative come la Scuola superiore universita­ria, il centro di formazione cinematogr­afica, il polo tecnologic­o, i musei: concentraz­ioni di eccellenze umanistich­e, di spettacolo, di tecnologie (aggiungo l’esempio del Mistral). Purché non vengano trasformat­i in scatole vuote, ritiene che possano rivelarsi incubatori di future classi dirigenti meridional­i. Già, la classe dirigente. Ma c’è una politica, sia a scala nazionale che a quella delle realtà locali, davvero disposta a concentrar­e grandi risorse in istruzione, formazione, ricerca scientific­a investendo nel futuro del Paese? Se lo chiede Angelo Panebianco (Corriere della sera, 29 maggio); e se ne mostra scettico.

Dubita che una classe politica quale quella che ci ritroviamo sia capace di favorire uno scatto culturale che renda negli anni più preparata e produttiva la comunità nazionale. Mi vien da aggiungere: se ci sono eletti ed elettori che credono davvero allo slogan «uno vale uno», sarà difficile aspettarsi massicci investimen­ti di risorse per elevare il livello generale delle conoscenze attraverso una istruzione di qualità, e spingere i più meritevoli a contribuir­e alla crescita di tutti i settori e lavori (anche in politica) in grado di assicurare una migliore qualità della vita di tutti.

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