Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Runggaldier e Ciaramella, il legno incontra la terracotta
Il Maschio Angioino riparte oggi alle 10 con una doppia personale, «Spiritus Mundi», un progetto espositivo che coinvolge l’artista altoatesino Herman Josef Runggaldier e il sannita Mario Ciaramella. Saranno loro a riaprire infatti i battenti della Cappella Palatina per accogliere per la prima volta i visitatori dopo il lockdown da covid 19.
Una mostra, quella curata da Marco Izzolino e Carla Travierso, prodotta e ideata da Andrea Aragosa e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune, che assume così un’importanza anche simbolica. Il pubblico, che potrà prenotare le visite quotidianamente fino al 22 luglio attraverso il sistema online Si.ri.p.Arte., si troverà di fronte oltre 50 sculture di varie dimensioni, a tutto tondo e a rilievo.
Opere che sono espressione del territorio di provenienza e di lavoro dei due artisti, Ortisei e Luzzano di Moiano, ovvero Val Gardena e Valle Caudina, che pur nella loro diversità e distanza, rivelano sorprendenti tratti comuni. A partire dall’atteggiamento anticlassico, ma meglio sarebbe dire preclassico, delle figure scolpite, secondo la tradizione dei luoghi, che ha sempre privilegiato una vocazione espressiva piuttosto che formale.
Un confronto a distanza fra l’uso del legno (in particolare il noce) e quello della terracotta, materiali che regalano rigida plasticità, ma anche tonalità cromatiche calde, agli elementi del ciclo. Fra i quali colpiscono soprattutto le allungate figure umane dell’uno e quelle animali dell’altro, abitanti entrambe di una dimensione mitologica e prenarrativa, che si annida nelle teste di cavallo che svettano da corpi antropomorfi seduti o dall’atteggiamento antieroico di sagome maschili e femminili venate da un rosso sanguigno e vitalistico. Quelle di «Veritas Crudelitatis» di Ciaramella, che sceglie legno, argilla e pietra ponendo al centro della scena un’installazione lignea, «Crudele», affianco a una serie di sculture, «Portatori di nuvole» in ceramica, e quattro serie di metope in gesso. «La profondità delle superfici» è il titolo invece del ciclo dell’artista atesino che sceglie il corpo, come fondamento arcaico, possente e inflessibilmente eretto come quello dei Kouroi greci.