Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Un’alleanza civica per rilanciare Napoli
Difficile orientarsi nella selva di sigle nel Consiglio Comunale di Napoli. La frantumazione dei gruppi ha coinvolto tutti. C’è ancora una maggioranza? Esiste una alternativa realistica? Pare ci sia una mozione di sfiducia alla giunta. Ci sono i numeri in Consiglio per dare una spallata? Ho molti dubbi, ma si vedrà. Preoccupante tuttavia è che, allo stato, non si delinei una diversa prospettiva di governo della città.
La forza indispensabile per immaginare una alternativa resta il Pd. Dopo una fase di oscillazioni politiche che, nei mesi «precovid» ha riguardato lo stesso sostegno a De Luca, oggi il Pd dovrebbe prendere atto che la via maestra per aprire una prospettiva di buon governo alla città consiste nella promozione di una alleanza civica.
Una alleanza in cui si riconoscano forze importanti del lavoro e della impresa, della cultura e degli studi e possano guardare ad essa donne e uomini che vivono con maggiore acutezza, nei quartieri della periferia e nel centro storico, condizioni di estremo disagio sociale. Se si pensasse di mettere in piedi una coalizione con i resti di 5 Stelle, qualche frammento di Dema, non si andrebbe molto lontano. Per promuovere una alleanza civica alcune condizioni appaiono indispensabili. Un indirizzo alternativo alla giunta in carica.
Nel 2011 de Magistris raccolse un sentimento di stanchezza diffuso nella opinione pubblica e una voglia di cambiamento rispetto alle mediocri esperienze amministrative che si erano succedute. Nel suo delirante comizio la notte del successo, le sue parole furono: abbiamo «scassato». Chiamato a fare i conti con la durezza dei problemi l’Amministrazione de Magistris non mostrò grandi capacità di governo.
Non vennero avanti programmi per favorire le trasformazioni urbanistiche, produttive, istituzionali di cui la città aveva bisogno. Prevalse l’idea che i servizi non fossero riformabili, si lasciarono in piedi carrozzoni indebitati fino al collo che fornivano in molti casi servizi da terzo mondo; pagando fior di quattrini i rifiuti furono inviati all’estero o in altre regioni, accantonando il discorso su tecnologie che avrebbero potuto aiutare a risolvere il problema di una città che ne produce 1200 tonnellate al giorno.
Con la successiva consiliatura non sono mutati i dati di fondo. Anzi. L’altro aspetto riguarda le idee. Occorre rifuggire dal solleticare aspettative messianiche che solo demagoghi in malafede possono esibire quando si parla di Napoli. La città deve aprirsi ai territori contigui in vista della formazione di una città metropolitana, ridisegnando la localizzazione delle funzioni, decentrando fuori del perimetro urbano servizi di medio livello, riservando quelli di alto profilo al capoluogo; vanno migliorati il traffico e la mobilità in ingresso e uscita; le politiche sociali dovranno puntare ad un welfare inclusivo; le politiche dell’ambiente e della salvaguardia del territorio dovranno accrescere la vivibilità urbana evitando la cementificazione delle poche aree ancora libere.
Il sostegno alle attività produttive deve prendere atto che Napoli non è più un polo di attrazione di produzioni industriali di massa: nelle aree della periferia deindustrializzata ad est e a nord ovest sarà possibile localizzare industrie e servizi ecocompatibili sostenuti da una adeguata dotazione di infrastrutture. Per mettere con i piedi per terra questo programma occorrerà un forte impegno della Regione e insieme la decisione del governo nazionale di orientare risorse (disponibili grazie all’Europa) a sostegno di investimenti verso Napoli e il Mezzogiorno. Questa è l’unica via per permettere a Napoli di affrontare le conseguenze economiche e sociali della pandemia.
C’è un altro aspetto da considerare. Non deve sfuggire quanto sia stata dura la «clausura» per tante famiglie napoletane in periferia e nei quartieri centrali. È una priorità sostenere le fasce più deboli della società napoletana. Guai tuttavia se si fa strada la convinzione che i problemi si affrontano con i sussidi e che questi possano essere estesi discrezionalmente da qualcuno. Sarebbe peggio del dopo terremoto. Mai come in questa fase occorre accompagnare ai provvedimenti di emergenza un programma di concrete misure tese alla crescita e allo sviluppo economico. La persuasione che questo intreccio sia necessario deve diffondersi tra i napoletani. Sarà possibile solo su queste basi avviare il lavoro per aprire una fase nuova nella vita della città. Non sarà facile ma si potrà tentare.