Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I POSSIBILI EFFETTI SULLE URNE
Il macigno giudiziario piombato su Forza Italia, con il coinvolgimento nella inchiesta della magistratura su presunte collusioni con i clan di Sant’Antimo, del senatore Luigi Cesaro e di alcuni suoi fratelli, minaccia di portar via l’ultimo strato di vernice che ancora rimane sulle insegne di un partito che qui in Campania ha conosciuto una lunghissima e strepitosa stagione di successi elettorali, ma anche una drammatica sequela di leadership decapitate e di ambizioni politiche frustrate. Quella che era considerata come la roccaforte azzurra d’Italia — con il suo 45 per cento di consensi raccolti alle consultazioni degli anni scorsi — è stata poco per volta picconata dalle indagini e frantumata dai processi, gettando un fascio di luce, non di rado, sugli aspetti fino ad allora in ombra di personalità politiche in forte ascesa, come quella dell’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, poi caduto in una lunga detenzione cautelare e condannato, non in via definitiva, in alcuni procedimenti riguardanti sempre i suoi presunti legami con la camorra dei casalesi.
Già da tempo, e non soltanto a causa delle vicende giudiziarie, Forza Italia in Campania — anticipando tutti gli altri partiti sulla strada della progressiva dissoluzione — si è trasformata da propaggine territoriale del partito-azienda nazionale, appoggiata ad una potente organizzazione politica ramificata Comune per Comune, in mero comitato elettorale, pronto a ricomporsi alla vigilia di ogni consultazione, per poi sparire per il resto del tempo. Ed ha modificato anche il proprio core business: non più fondato sulla riproduzione dei lusinghieri risultati di una volta, raccolti nelle urne della Campania, ma esclusivamente sulla sopravvivenza del ceto politico.
La perdita costante di consensi, in parte compensata dalla affidabilità di pochissimi volti (sempre gli stessi) per i quali poter spendere ogni energia per la battaglia elettorale, oggi dà un motivo in più agli alleati per ribaltare le condizioni pattuite e modificare il peso della rappresentanza all’interno della coalizione.
Così come le ultime inchieste della magistratura campana che hanno riguardato gli esponenti azzurri conferiranno nuove frecce all’arco di Matteo Salvini, oggi pomeriggio, quando
con Antonio Tajani e Giorgia Meloni, il leader del Carroccio si ritroverà a sciogliere il nodo della indicazione del candidato alla presidenza della Campania per il centrodestra.
Non è forse una ininfluente coincidenza che Salvini, reagendo ad un servizio televisivo di Report sull’amministrazione regionale lombarda di Fontana, abbia voluto sollecitare i giornalisti a guardare altrove: «Qui ci sono politici arrestati e indagati perché rubano. Oggi fra Campania e Calabria, fra arrestati e indagati, ce n’è una discreta quantità».
Ma come sarà il centrodestra che dovrà presentarsi alle prossime Regionali di settembre? Un’alleanza certamente sbilenca, incupita dalla incomunicabilità interna e avvelenata dalla diffidenza reciproca. Soprattutto orfana di una autentica leadership regionale: con la Lega — rappresentata dal coordinatore
brianzolo Nicola Molteni — a fare da locomotore di importazione e Fratelli d’Italia a godersi il viaggio verso il voto nella speranza di poter raccogliere, per strada, i consensi dispersi dagli azzurri. Mentre tanti altri consiglieri regionali, che fino a pochi mesi fa erano organicamente inseriti nel centrodestra di opposizione, oggi bussano o hanno già trovato casa in una delle undici liste che sosterranno la ricandidatura di Vincenzo De Luca. Undici liste: quasi un esercito di concorrenti. Gli uni contro gli altri, ma tutti a rastrellare preferenze per consentire al presidente uscente di riguadagnare la sua poltrona di palazzo Santa Lucia.
Con questi chiari di luna, se Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia non troveranno una sintesi di ampio respiro per ingaggiare una vera battaglia di alternativa politica, fatta di contenuti più che di tatticismi, la composita e disordinata armata deluchiana, con tanto di riservisti democristiani al seguito, sarà destinata a generare sia la futura maggioranza, sia buona parte della futura opposizione. Purtroppo, una opposizione non politica, bensì affollata da tutta quella soldataglia fatta di scontenti, questuanti e pendolari degli schieramenti: animata, cioè, da coloro che, annusando il vento, hanno agganciato al volo il carro del prevedibile vincitore sperando in una sicura ricompensa. Ma che si ritroveranno, inevitabilmente, a mani vuote e pronti a minacciare sconquassi. Mentre a ciò che resta del centrodestra toccherà, forse, il dubbio lancinante di non aver voluto voltare pagina per rinnovarsi. Una responsabilità che non esclude, ma anzi investe direttamente proprio le personalità ritenute più affidabili dello schieramento.