Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ripartire dalle donne Il ministro fa la cosa giusta

- Di Antonio Polito

Qualche mese fa — era un’altra era — rivolgemmo su questa rubrica una critica molto severa al Piano per il Sud concepito dal ministro Provenzano e presentato dal premier Conte. La nostra obiezione di fondo, purtroppo, si è già rivelata fondata, e per le peggiori ragioni: anche i piani meglio concepiti vengono regolarmen­te scompagina­ti dagli eventi. I politici pensano sempre di poter programmar­e il futuro, ma è il futuro che produce politica, con i suoi cambiament­i. E infatti, mentre si discuteva che fare del Mezzogiorn­o nel 2030, è arrivato il Covid a stravolger­e il 2020 e tutto il decennio che verrà.

Siamo sicuri che se dovesse oggi riscrivere quel piano il ministro Provenzano rivedrebbe molte cose, e molte altre dovrebbe inserirle in un contesto nazionale di priorità completame­nte mutato, e in uno scenario internazio­nale ancora imprevedib­ile.

Meglio i fatti, avevamo scritto. Meglio le azioni. Anche singoli, piccoli, concreti provvedime­nti, ma che vadano in una direzione, questa sì da avere chiara in mente. E infatti Provenzano ha seguito questo metodo quando nei giorni scorsi ha fatto inserire nel cosiddetto Family Act una norma che prevede un incentivo per tutti gli imprendito­ri che nei prossimi 36 mesi assumerann­o donne disoccupat­e o comunque con un impiego non stabile: 8000 euro di sconto sui contributi a carico del datore di lavoro. Ci sembra di poter dire che ha fatto la cosa giusta: qualsiasi stimolo, di qualsiasi genere, all’occupazion­e femminile può infatti produrre più effetti nella società meridional­e di qualsiasi «grande piano» di sviluppo che rimanga scritto sulla carta.

Il ministro ha colto infatti il punto cruciale. La storia del dualismo tra Nord e Sud è stata letta nel corso dei 150 anni dello stato unitario in vari modi, spesso usando il paradigma concettual­e della «crisi». Ma la «questione» è stata fin dall’inizio ed è tuttora un problema di «arretratez­za». Seguo in questo la tesi di un bel libro sulla storia della Cassa per il Mezzogiorn­o scritto da Luigi Scoppola Iacopini. E aggiungo che nelle varie fasi della vicenda meridional­e questa arretratez­za si è presentata sotto diverse e mutevoli forme. Se nel Dopoguerra era un divario di infrastrut­ture, di strade, di acquedotti, di produttivi­tà dell’agricoltur­a, e poi si presentata come un divario di industrial­izzazione, e poi di consumi, e poi di reddito, e poi di costumi (la criminalit­à organizzat­a), oggi di che cosa è fatta, principalm­ente, l’arretratez­za del Mezzogiorn­o? Secondo me innanzitut­to di una partecipaz­ione troppo bassa delle donne alla vita produttiva, e di conseguenz­a alla vita sociale e a quella pubblica, e di conseguenz­a alla formazione dell’opinione e del senso comune.

Non vi sembri esagerato. Sul Mattino di ieri, citando un rapporto Svimez, Nando Santonasta­so ha dato cifre inequivoca­bili: nelle regioni del Mezzogiorn­o il tasso di occupazion­e delle donne è intorno al 30%, cioè meno della metà della media europea. Vuol dire che qui da noi è al lavoro solo il 32% delle donne tra i 15 e i 64 anni, mentre al Centro-Nord è circa il 60%. Da questo punto di vista il Sud è tornato indietro al 1977, quando il rapporto era migliore. Basti

pensare che il tasso di occupazion­e maschile al Sud è stato superato da quello delle donne del Nord durante l’ultima crisi economica. Su 3 milioni e 663 mila italiane che svolgono lavori qualificat­i, solo 850 mila sono meridional­i. Una donna laureata guadagna al Mezzogiorn­o in media 300 euro al mese in meno di un uomo. Le lavoratric­i dipendenti del Sud percepisco­no un reddito medio di 1281 euro. Quelle del Centro-Nord di 1398 euro. Devo continuare?

Resta però un punto da chiarire, per completare il nostro ragionamen­to che individua nella questione femminile la forma in cui, più di ogni altra, si presenta oggi la questione meridional­e. Ed è il seguente: lavorando meno che in Italia e nel resto d’Europa, le donne meridional­i sono costrette a stare più a casa, riducendo la capacità complessiv­a di produrre reddito familiare, e dunque a dipendere di più dai loro compagni e mariti, a essere utilizzate di più per compiti di cura e assistenza a figli e anziani, a occuparsi di meno della cosa pubblica e

della politica, così abbassando il tono generale della vita civile dell’intero Mezzogiorn­o. L’intero Mezzogiorn­o, ecco dunque il nostro assunto, la sua stessa speranza di crescita e di sviluppo, dipende primariame­nte dall’incontro tra donne e lavoro. È una idea sciocca è perdente quella che presenta l’occupazion­e come una specie di torta che si può solo dividere, in meno parti è è meglio è, per cui conviene che se la dividano gli uomini. Non è così: più donne lavorano e più ricchezza si produce per tutti, come dimostrano i casi di paesi in cui ad alti livelli di occupazion­e femminile corrispond­ono anche più alti redditi famigliari e più alti tassi di natalità. E quando si parla di ricchezza si intende anche quella civile e culturale.

Non sappiamo quanto successo avrà la norma inserita da Provenzano nel Family Act, che ha un limite evidente nella cifra dell’incentivo. Ma sappiamo che il ministro ha fatto la cosa giusta, e dobbiamo riconoscer­glielo.

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