Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ripartire dalle donne Il ministro fa la cosa giusta
Qualche mese fa — era un’altra era — rivolgemmo su questa rubrica una critica molto severa al Piano per il Sud concepito dal ministro Provenzano e presentato dal premier Conte. La nostra obiezione di fondo, purtroppo, si è già rivelata fondata, e per le peggiori ragioni: anche i piani meglio concepiti vengono regolarmente scompaginati dagli eventi. I politici pensano sempre di poter programmare il futuro, ma è il futuro che produce politica, con i suoi cambiamenti. E infatti, mentre si discuteva che fare del Mezzogiorno nel 2030, è arrivato il Covid a stravolgere il 2020 e tutto il decennio che verrà.
Siamo sicuri che se dovesse oggi riscrivere quel piano il ministro Provenzano rivedrebbe molte cose, e molte altre dovrebbe inserirle in un contesto nazionale di priorità completamente mutato, e in uno scenario internazionale ancora imprevedibile.
Meglio i fatti, avevamo scritto. Meglio le azioni. Anche singoli, piccoli, concreti provvedimenti, ma che vadano in una direzione, questa sì da avere chiara in mente. E infatti Provenzano ha seguito questo metodo quando nei giorni scorsi ha fatto inserire nel cosiddetto Family Act una norma che prevede un incentivo per tutti gli imprenditori che nei prossimi 36 mesi assumeranno donne disoccupate o comunque con un impiego non stabile: 8000 euro di sconto sui contributi a carico del datore di lavoro. Ci sembra di poter dire che ha fatto la cosa giusta: qualsiasi stimolo, di qualsiasi genere, all’occupazione femminile può infatti produrre più effetti nella società meridionale di qualsiasi «grande piano» di sviluppo che rimanga scritto sulla carta.
Il ministro ha colto infatti il punto cruciale. La storia del dualismo tra Nord e Sud è stata letta nel corso dei 150 anni dello stato unitario in vari modi, spesso usando il paradigma concettuale della «crisi». Ma la «questione» è stata fin dall’inizio ed è tuttora un problema di «arretratezza». Seguo in questo la tesi di un bel libro sulla storia della Cassa per il Mezzogiorno scritto da Luigi Scoppola Iacopini. E aggiungo che nelle varie fasi della vicenda meridionale questa arretratezza si è presentata sotto diverse e mutevoli forme. Se nel Dopoguerra era un divario di infrastrutture, di strade, di acquedotti, di produttività dell’agricoltura, e poi si presentata come un divario di industrializzazione, e poi di consumi, e poi di reddito, e poi di costumi (la criminalità organizzata), oggi di che cosa è fatta, principalmente, l’arretratezza del Mezzogiorno? Secondo me innanzitutto di una partecipazione troppo bassa delle donne alla vita produttiva, e di conseguenza alla vita sociale e a quella pubblica, e di conseguenza alla formazione dell’opinione e del senso comune.
Non vi sembri esagerato. Sul Mattino di ieri, citando un rapporto Svimez, Nando Santonastaso ha dato cifre inequivocabili: nelle regioni del Mezzogiorno il tasso di occupazione delle donne è intorno al 30%, cioè meno della metà della media europea. Vuol dire che qui da noi è al lavoro solo il 32% delle donne tra i 15 e i 64 anni, mentre al Centro-Nord è circa il 60%. Da questo punto di vista il Sud è tornato indietro al 1977, quando il rapporto era migliore. Basti
pensare che il tasso di occupazione maschile al Sud è stato superato da quello delle donne del Nord durante l’ultima crisi economica. Su 3 milioni e 663 mila italiane che svolgono lavori qualificati, solo 850 mila sono meridionali. Una donna laureata guadagna al Mezzogiorno in media 300 euro al mese in meno di un uomo. Le lavoratrici dipendenti del Sud percepiscono un reddito medio di 1281 euro. Quelle del Centro-Nord di 1398 euro. Devo continuare?
Resta però un punto da chiarire, per completare il nostro ragionamento che individua nella questione femminile la forma in cui, più di ogni altra, si presenta oggi la questione meridionale. Ed è il seguente: lavorando meno che in Italia e nel resto d’Europa, le donne meridionali sono costrette a stare più a casa, riducendo la capacità complessiva di produrre reddito familiare, e dunque a dipendere di più dai loro compagni e mariti, a essere utilizzate di più per compiti di cura e assistenza a figli e anziani, a occuparsi di meno della cosa pubblica e
della politica, così abbassando il tono generale della vita civile dell’intero Mezzogiorno. L’intero Mezzogiorno, ecco dunque il nostro assunto, la sua stessa speranza di crescita e di sviluppo, dipende primariamente dall’incontro tra donne e lavoro. È una idea sciocca è perdente quella che presenta l’occupazione come una specie di torta che si può solo dividere, in meno parti è è meglio è, per cui conviene che se la dividano gli uomini. Non è così: più donne lavorano e più ricchezza si produce per tutti, come dimostrano i casi di paesi in cui ad alti livelli di occupazione femminile corrispondono anche più alti redditi famigliari e più alti tassi di natalità. E quando si parla di ricchezza si intende anche quella civile e culturale.
Non sappiamo quanto successo avrà la norma inserita da Provenzano nel Family Act, che ha un limite evidente nella cifra dell’incentivo. Ma sappiamo che il ministro ha fatto la cosa giusta, e dobbiamo riconoscerglielo.