Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Olafsson e i nuovi colori di Debussy e Rameau
Un tempo uno dei modi più praticati dello scambio musicale era il dono di compilation realizzate in casa su cassetta con play list cariche d’intenzioni, messaggi e sentimenti. L’ultimo album del 36enne pianista islandese Víkingur Ólafsson, Debussy – Rameau (Deutsche Grammophon), parte da un’idea precisa e si articola un po’ alla maniera di quelle compilation, ricco di intelligenza e passione. Ólafsson è una nuova star del pianoforte classico, rivelatosi con i dischi dedicati a Glass e a
Bach; ma a differenza degli altri non è un ragazzo prodigio come i cinesi o un giovane vulcano alla Trifonov; uomo e pianista già maturo, ha mezzi tecnici prodigiosi ma anche cultura e visione di ciò che suona, un approccio non solo prestidigitatorio alla tastiera. Qui cerca le affinità profonde che legano Rameau (1683-1764) e Debussy (1862-1918), gettando un ponte tra i secoli per avvicinare quei due giganti della musica francese; i 28 brani scelti alternano pezzi (o sequenze) dell’uno con quelli dell’altro, senza che si avvertano cesure. Dall’iniziale preludio della Damoiselle élue di Debussy al successivo Rappel des
oiseaux di Rameau non c’è quasi soluzione di continuità, anche perché il primo sembra più arcaizzante di quello che solitamente si ascolta e il secondo, affrontato al pianoforte (non al clavicembalo) e con tecniche pianistiche moderne, suona nostro contemporaneo. Il Rameau di Ólafsson è un prodigio di trasparenza; e certo nessuno ha mai ascoltato un Debussy così poco brumoso, suonato con un tocco insieme preciso e rispettoso delle sfumature come in
Ondine o Des pas sur la neige. In entrambi i casi, un trionfo di luce e colore, di intelligenza e sensuale bellezza.