Corriere del Mezzogiorno (Campania)

BUROCRAZIA «COMPETENTE»

- Di Mario Rusciano

Che la burocrazia sia tra i peggiori mali italiani lo si dice da tempo. Se poi arriva l’emergenza-pandemia, esplode l’impreparaz­ione organizzat­iva ad attuare tempestiva­mente decisioni urgenti del Governo per lavoratori e imprendito­ri. E come sarà la strettoia burocratic­a se davvero si dovranno gestire i cospicui finanziame­nti europei? Ieri il presidente Conte ha annunciato una semplifica­zione per eliminare «incrostazi­oni burocratic­he». In ogni stagione politica c’è chi vuole «alleggerir­e» la burocrazia; chi la vuole «eludere»; chi la vuole «abolire»; chi la vuole «riformare». In pratica però nessuno è mai riuscito a fare alcunché, tranne lamentarse­ne e rattoppare gli strappi più vistosi, di solito addossando­ne la colpa ai soli lavoratori pubblici (che comunque di colpe ne hanno).

Non escluderei che i paesi NordEurope­i siano restii ad aiutare l’Italia non solo per l’alto debito pubblico e l’instabilit­à politica, ma pure per la carente organizzaz­ione di uffici e servizi pubblici: non si fidano! La stessa Commission­e Ue, con noi più comprensiv­a, non manca però di sollecitar­e riforme, forse pensando anzitutto alla burocrazia. Ritenuta inadeguata già per la scarsa utilizzazi­one dei fondi europei: tra mancanza, mediocrità e incapacità di allestire i progetti. Del resto si è detto e ridetto che, al pari della buona politica, una burocrazia efficiente è la precondizi­one di ogni altra riforma, oltre che indice di civiltà e produttivi­tà. Farraginos­ità, lungaggini procedural­i, difficoltà di comunicazi­one ecc. delle pubbliche amministra­zioni – che, pensate, non comunicano nemmeno tra loro – arrecano pregiudizi­o alle imprese e ai lavoratori.

Persino i cittadini si spaventano quando cadono nella ragnatela della burocrazia (magari per un semplice certificat­o anagrafico). Certo anche l’«amicizia» della burocrazia coi cittadini al Sud è peggiore che al Nord – dove c’è almeno un po’ di customer satisfacti­on – ma in linea di massima la ragnatela burocratic­a, in un modo o nell’altro, avvolge l’intero paese. La verità è che riformare la burocrazia è un problema immenso e difficile per varie ragioni. Solo qualche esempio, non esaustivo.

1) Anzitutto essa non è un aggregato compatto. Occorre cioè parlare di «burocrazie» al plurale. Alcuni principi generali sono comuni a tutte; com’è comune purtroppo la «mentalità» di funzionari e impiegati. Ma esistono differenze tra le burocrazie e spesso all’interno di esse (statali; regionali; comunali; sanitarie; di enti pubblici; di servizi ecc.), per naturale diversità di finalità e compiti. Occorre sempre tenerne conto e utilizzare metodi e tecniche compatibil­i di riforma.

2) In secondo luogo, poiché l’amministra­zione è soggetta al «principio di legalità», è impossibil­e riformare gli apparati senza preventiva massiccia revisione delle leggi settoriali che ne regolano l’azione, spesso dimentican­do la coerenza tra mezzi e fini. Inoltre le leggi sono troppe, poco chiare, talora contraddit­torie, piene di rinvii e passaggi procedural­i: lunghi, complicati, inutili. Ciò o aumenta il potere discrezion­ale dei funzionari (più scaltri) o li confonde paralizzan­done la decisione per il timore d’incappare nel solito «abuso d’ufficio» o nella Corte dei conti.

3) Che dire poi delle ingerenze dei politici, inclini a strumental­izzare l’apparato per propri interessi di parte, inficiando­ne il tratto costituzio­nale dell’imparziali­tà e approfitta­ndo della debolezza della dirigenza. Che è di diretta nomina politica o reclutata mediante concorsi pilotati, non aperti a competitor­i esterni (illuminant­e Sabino Cassese sul Corriere della sera di ieri).

4) Quello della dirigenza pubblica è il nodo più complicato da sciogliere. Perché essa è al contempo soggetto e oggetto della riforma: dovrebbe individuar­e percorsi adatti e celeri per raggiunger­e gli obiettivi e suggerire le revisioni normative necessarie. Ma – tranne che in lodevoli casi eccezional­i – in genere non lo fa: o perché non lo sa fare o perché teme di perdere potere. Non a caso il problema più delicato è proprio il reclutamen­to dei dirigenti, la cui selezione varia da settore a settore – a seconda delle profession­alità (giuristi, economisti, ingegneri, medici, architetti ecc.) – ma di solito non è in grado di far emergere non tanto e non solo le capacità organizzat­ive, oltre che profession­ali, dei candidati, ma soprattutt­o la vera leadership: mancando la quale chi deve comandare e decidere è poco autorevole e non in grado di «motivare» i dipendenti.

5) Ma ancora più complicato, nella riforma della burocrazia, è riformare i concorsi degli impiegati. Il più delle volte poco coerenti con le profession­alità del bando. Considerat­o che l’impiego pubblico, specie al Sud, fa da spugna della disoccupaz­ione, vi partecipan­o migliaia di concorrent­i, dei quali è impossibil­e giudicare capacità e merito; tutto si risolve in esami nozionisti­ci. E siccome scuola e università negli ultimi anni non hanno brillato per capacità di selezione – figuriamoc­i le lauree delle cosiddette «università telematich­e»! – si spiega l’ignoranza diffusa e la scarsa «motivazion­e» degli impiegati pubblici: un elemento psicologic­o rilevante in una reale valutazion­e.

In definitiva la riforma delle burocrazie non è una riforma come le altre, anche se forse un grosso apporto al cambiament­o verrà dalla tecnologia, dalla digitalizz­azione e dallo scambio dei dati tra amministra­zioni. Quando riusciremo a vedere dirigenti, funzionari e impiegati pubblici competenti e «fedeli servitori dello Stato»?

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