Corriere del Mezzogiorno (Campania)
BUROCRAZIA «COMPETENTE»
Che la burocrazia sia tra i peggiori mali italiani lo si dice da tempo. Se poi arriva l’emergenza-pandemia, esplode l’impreparazione organizzativa ad attuare tempestivamente decisioni urgenti del Governo per lavoratori e imprenditori. E come sarà la strettoia burocratica se davvero si dovranno gestire i cospicui finanziamenti europei? Ieri il presidente Conte ha annunciato una semplificazione per eliminare «incrostazioni burocratiche». In ogni stagione politica c’è chi vuole «alleggerire» la burocrazia; chi la vuole «eludere»; chi la vuole «abolire»; chi la vuole «riformare». In pratica però nessuno è mai riuscito a fare alcunché, tranne lamentarsene e rattoppare gli strappi più vistosi, di solito addossandone la colpa ai soli lavoratori pubblici (che comunque di colpe ne hanno).
Non escluderei che i paesi NordEuropei siano restii ad aiutare l’Italia non solo per l’alto debito pubblico e l’instabilità politica, ma pure per la carente organizzazione di uffici e servizi pubblici: non si fidano! La stessa Commissione Ue, con noi più comprensiva, non manca però di sollecitare riforme, forse pensando anzitutto alla burocrazia. Ritenuta inadeguata già per la scarsa utilizzazione dei fondi europei: tra mancanza, mediocrità e incapacità di allestire i progetti. Del resto si è detto e ridetto che, al pari della buona politica, una burocrazia efficiente è la precondizione di ogni altra riforma, oltre che indice di civiltà e produttività. Farraginosità, lungaggini procedurali, difficoltà di comunicazione ecc. delle pubbliche amministrazioni – che, pensate, non comunicano nemmeno tra loro – arrecano pregiudizio alle imprese e ai lavoratori.
Persino i cittadini si spaventano quando cadono nella ragnatela della burocrazia (magari per un semplice certificato anagrafico). Certo anche l’«amicizia» della burocrazia coi cittadini al Sud è peggiore che al Nord – dove c’è almeno un po’ di customer satisfaction – ma in linea di massima la ragnatela burocratica, in un modo o nell’altro, avvolge l’intero paese. La verità è che riformare la burocrazia è un problema immenso e difficile per varie ragioni. Solo qualche esempio, non esaustivo.
1) Anzitutto essa non è un aggregato compatto. Occorre cioè parlare di «burocrazie» al plurale. Alcuni principi generali sono comuni a tutte; com’è comune purtroppo la «mentalità» di funzionari e impiegati. Ma esistono differenze tra le burocrazie e spesso all’interno di esse (statali; regionali; comunali; sanitarie; di enti pubblici; di servizi ecc.), per naturale diversità di finalità e compiti. Occorre sempre tenerne conto e utilizzare metodi e tecniche compatibili di riforma.
2) In secondo luogo, poiché l’amministrazione è soggetta al «principio di legalità», è impossibile riformare gli apparati senza preventiva massiccia revisione delle leggi settoriali che ne regolano l’azione, spesso dimenticando la coerenza tra mezzi e fini. Inoltre le leggi sono troppe, poco chiare, talora contraddittorie, piene di rinvii e passaggi procedurali: lunghi, complicati, inutili. Ciò o aumenta il potere discrezionale dei funzionari (più scaltri) o li confonde paralizzandone la decisione per il timore d’incappare nel solito «abuso d’ufficio» o nella Corte dei conti.
3) Che dire poi delle ingerenze dei politici, inclini a strumentalizzare l’apparato per propri interessi di parte, inficiandone il tratto costituzionale dell’imparzialità e approfittando della debolezza della dirigenza. Che è di diretta nomina politica o reclutata mediante concorsi pilotati, non aperti a competitori esterni (illuminante Sabino Cassese sul Corriere della sera di ieri).
4) Quello della dirigenza pubblica è il nodo più complicato da sciogliere. Perché essa è al contempo soggetto e oggetto della riforma: dovrebbe individuare percorsi adatti e celeri per raggiungere gli obiettivi e suggerire le revisioni normative necessarie. Ma – tranne che in lodevoli casi eccezionali – in genere non lo fa: o perché non lo sa fare o perché teme di perdere potere. Non a caso il problema più delicato è proprio il reclutamento dei dirigenti, la cui selezione varia da settore a settore – a seconda delle professionalità (giuristi, economisti, ingegneri, medici, architetti ecc.) – ma di solito non è in grado di far emergere non tanto e non solo le capacità organizzative, oltre che professionali, dei candidati, ma soprattutto la vera leadership: mancando la quale chi deve comandare e decidere è poco autorevole e non in grado di «motivare» i dipendenti.
5) Ma ancora più complicato, nella riforma della burocrazia, è riformare i concorsi degli impiegati. Il più delle volte poco coerenti con le professionalità del bando. Considerato che l’impiego pubblico, specie al Sud, fa da spugna della disoccupazione, vi partecipano migliaia di concorrenti, dei quali è impossibile giudicare capacità e merito; tutto si risolve in esami nozionistici. E siccome scuola e università negli ultimi anni non hanno brillato per capacità di selezione – figuriamoci le lauree delle cosiddette «università telematiche»! – si spiega l’ignoranza diffusa e la scarsa «motivazione» degli impiegati pubblici: un elemento psicologico rilevante in una reale valutazione.
In definitiva la riforma delle burocrazie non è una riforma come le altre, anche se forse un grosso apporto al cambiamento verrà dalla tecnologia, dalla digitalizzazione e dallo scambio dei dati tra amministrazioni. Quando riusciremo a vedere dirigenti, funzionari e impiegati pubblici competenti e «fedeli servitori dello Stato»?