Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il flop: 400 mila lavoratori in nero ma solo 3 mila richieste di sanatoria
In Campania 3.270 domande, di cui 2 mila nell’area napoletana. Per i braccianti appena 554
L’emersione dal lavoro nero fa un primo flop. Almeno nella fase di avvio, i 15 giorni di giugno, anche se c’è tempo fino a metà agosto e nel precedente decreto per la sanatoria del lavoro nero del 2012 solo negli ultimi 7 giorni fu presentato il 47% delle domande. Gli attuali numeri della Campania del ministero dell’Interno, lo testimoniano. Sono appena 3.270 le richieste presentate nella Regione, di cui 2 mila nell’area napoletana. Nella sola provincia partenopea, le stime sul Pil prodotto dall’economia informale si aggirano attorno al 30%, secondo il presidente della Fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo. Quando il governo Conte, pur tra mille polemiche, varò la normativa e la inserì nel decreto Rilancio, si ipotizzavano 200 mila sanatorie in tutta Italia, per ora siamo fermi ad appena 24 mila.
Ma il vero dato preoccupante che fa più riflettere riguarda la tipologia delle richieste. Perché l’idea era nata al fine di rimettere in moto soprattutto l’agricoltura, trovatasi, in particolare nel Mezzogiorno, priva di manodopera, in quanto, in seguito alla pandemia, la gran parte degli extracomunitari non è più andata a lavorare e i prodotti della terra marcivano nei campi. Invece la stragrande maggioranza delle richieste finora inoltrate riguarda il settore domestico, colf e badanti. In Campania ben 2.716. Mentre solo le rimanenti 554 sono per attività agricole e connesse come statuito dal decreto, pur se la Regione è la prima in Italia quanto a numero di richieste per lavoro subordinato presentate. Di fatto, almeno finora, una norma nata per scoraggiare il caporalato e regolamentare il lavoro nei campi, limitando fin quasi ad annullare i casi di schiavitù, serve per altri obiettivi.
Eppure la procedura è molto semplice, pur se la domanda può riguardare esclusivamente gli immigrati già presenti sul territorio nazionale prima dell’8 marzo di quest’anno e che non si sono mai allontanati. Il datore di lavoro è obbligato unicamente a pagare l’una tantum di 500 euro a persona che evidentemente finora ha scoraggiato molti imprenditori i quali utilizzano manodopera sommersa. Ma quanti sono i lavoratori al nero complessivamente in Campania? La percentuale è del 20%, nettamente superiore rispetto alla media italiana, attestata al 13,1%. L’Istat ne stima, su 1 milione e 800 mila, 360 mila ignoti al fisco. Alta la percentuale di sommerso nell’edilizia, nel turismo, nella ristorazione, nel turismo, nell’artigianato. La Svimez ha rielaborato queste statistiche su base regionale per settori di attività a gennaio di quest’anno. La percentuale regionale di sommerso del 19,8% è al suo interno composta da un terzo di lavoratori al nero in agricoltura e nella pesca. «Non si tratta di grandi evasori — spiega Delio Miotti, dirigente ricerca della Svimez — ma di soggetti considerati marginali in un mercato del lavoro segmentato e attribuibile alla fragilità del sistema economico. Bisogna pensare agli immigrati che lavoravano a nero».
Non bisogna sottovalutare che in una grave crisi economica come quella conseguente al Covid 19, mettere un freno all’abnorme diffusione del fenomeno dell’economia sommersa e del lavoro irregolare è auspicabile. Oggi le tipologie di nero più diffuse nella regione sono:
Provincia di Napoli
Secondo le stime il Pil dell’economia informale si aggira attorno al 30 per cento
Tipologie
Regolari che svolgono una seconda attività, assunti con contratti atipici o soci di coop
lavoratori regolari che svolgono una seconda attività in nero; dipendenti a cui vengono sì applicate condizioni minime di regolarità, ma che, per la maggior parte delle prestazioni, quali straordinari o premi, non sono registrati ai fini fiscali e contributivi; assunti con contratti atipici o soci di coop di comodo per eludere le tutele e gli oneri previsti per il lavoro subordinato vero e proprio; dipendenti che accettano compensi inferiori rispetto a quelli dichiarati; autonomi e professionisti irregolari; lavoratori subordinati con contratti non dichiarati e con retribuzioni del tutto in nero; immigrati irregolari. Oltre ovviamente a tutto il vasto giro dell’economia illegale e della economy street che ha ricevuto un duro colpo dalla pandemia.