Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Il chilometro zero? Spesso è solo un mito» Mario Affinita (Don Geppi) e una carbonara molto speciale
IN CUCINA SI RIPARTE
Scalpita Mario Affinita. Non vede l’ora di indossare la giacca da chef (del Don Geppi di Sant’Agnello) e di rimettersi ai fornelli.
È così?
«Sicuramente, conto i giorni alla rovescia, sono gasatissimo per la ripartenza. Vivo la stessa emozione di una nuova apertura».
Che avverrà?
«Apriremo nella prima decade di luglio. In una fase iniziale avremo due menu degustazione, uno di carne e uno di pesce, in più un menu lungo di sette portate che lascerà anche la possibilità di qualche inserimento su misura. Poi stiamo mettendo a punto un’altra idea: la “dispensa di Geppi”, molto più informale, che sfrutti in pieno il nostro orto, dunque ci sarà più spazio per la tradizione e la stagionalità».
Quanto influisce la proprietà nelle sue scelte?
«Fin dall’inizio del nostro percorso, con Giulia (Rossano, ndr) e Lucio (D0rsi, ndr) c’è collaborazione, confronto, ma soprattutto tanto rispetto».
Come si compone un menu?
«Applicando criteri imposti dal galateo e dalla stagionalità dei prodotti. Deve soprattutto essere equilibrato, accontentare sia chi ama il pesce, sia chi preferisce la carne, ma ormai non può trascurare le esigenze dei vegetariani»
Ci anticipa qualche nuovo piatto che i vostri ospiti troveranno in carta?
«Sicuramente ci sarà un risotto vegetariano con funghi, salvia e ibisco. Poi un fazzoletto di seppia con cavolfiori e Chantilly con acqua di cottura della seppia e caviale».
Un suo classico che non toglierà mai dalla carta?
«Il sandwich di sogliola con zucchine alla scapece che molti clienti abituali ci chiedono sempre».
Pensa che l’emergenza Covid abbia influito sulle abitudini alimentari?
«Sicuramente per qualche tempo. Poi si tornerà, speriamo, alla normalità».
Quanto di campano c’è nella sua cucina e quanto di internazionale?
«Oggi c’è il mito del chilometro zero. Ma non sempre i fornitori locali riescono a garantirti la continuità del prodotto. Per questo motivo, in assenza di materie prime del posto, non esito a rivolgermi fuori regione, fuori nazione e fuori continente. È bello far viaggiare il cliente a tavola».
Chi è stato il suo maestro e chi è il suo modello?
«Enrico Bartolini mi ha aperto la mente, Pino Cuttaia mi ha insegnato l’umiltà. Poi Perbellini, un altro nobile della cucina, Ferran Adrià per l’innovazione e Joan Roca per il modo di gestire la cucina».
Il suo obiettivo professionale?
«Di restare quanto più sarà possibile ai fornelli, con la stessa grinta e voglia di fare».
Il vino ha un ruolo sempre più importante all’interno di un pasto. Accetterebbe di abbinare un piatto a una bottiglia, invertendo l’ordine naturale delle cose?
«Si è sempre fatto l’inversdo, ma non vedo problemi a mettere il piatto al servizio della bottiglia».
Che piatto propone ai nostri lettori e perché?
«Gli spaghetti come una carbonara. La pasta al pomodoro è un piatto che rappresenta la nostra gente, il nostro Mediterraneo. A me è venuta l’idea di proporlo sotto le sembianze di una carbonara. È un primo di facile approccio sia a livello gustativo e che esecutivo».